Marzo 29, 2023

Taiwan-Cina: la minaccia di Pechino per l’incontro Tsai-McCarthy. USA pronti a sfidare il Dragone. L’analisi di Yakovleff: “Taipei può resistere ad un’invasione”

La presidente Tsai Ing-wen è pronta a prendere posto sul volo che la condurrà in America Centrale. Il suo staff ha preparato la sua visita nei dettagli. Domani uno scalo negli Stati Uniti, la Grande Mela ad aspettarla. Sa già se il 5 aprile, a darle l’arrivederci prima di prendere la strada di casa, sarà il vulcanico speaker della Camera USA, Kevin McCarthy. E chissà se adesso, allacciate le cinture, pochi istanti prima del decollo, l’ultimo pensiero è per la possibile reazione della Cina. Quale situazione troverà al suo ritorno a Taiwan?

L’aereo presidenziale è già ben al di sopra delle nuvole quando il Dragone comincia a sputare fuoco: “Se Tsai entrerà in contatto con il presidente della Camera degli Stati Uniti McCarthy, sarà un’altra provocazione che viola gravemente il principio della Cina unica”, che “mina la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan“. Gli americani minimizzano, sottolineano che non sarebbe né la prima né l’ultima volta che un presidente fa scalo negli States. Il punto è che nessuno ha bisogno di una nuova escalation di tensione, non dopo che l’ultima ha tenuto in fibrillazione il mondo intero lo scorso agosto. Ma la leader di Taipei non può permettersi di accettare nuovi ricatti: “Taiwan camminerà con fermezza sulla strada della libertà e della democrazia e andrà nel mondo“, dice. “Anche se la strada da percorrere è accidentata e ripida. Non siamo soli“.

Nell’epoca dell’algoritmo la geopolitica è ancora un luogo in cui c’è spazio per l’azzardo. La scommessa è che la sarà la Cina a desistere dall’alzare il livello dello scontro. Dopotutto, perché gonfiare le vele del risentimento taiwanese, con le elezioni presidenziali del gennaio 2024 dietro l’angolo? No, Pechino non ha bisogno di favorire l’ascesa di un leader che ne metta nel mirino l’invadenza. Ma all’invasione pensa, eccome se pensa. Lo dimostra l’intelligence raccolta dagli americani in questi mesi. Bill Burns, direttore della CIA, ha svelato: “Il Presidente Xi ha dato istruzioni all’Esercito Popolare di Liberazione, la leadership militare cinese, di essere pronto entro il 2027 ad invadere Taiwan“. Essere pronti non significa per forza fare qualcosa. Dunque la domanda che resta sul taccuino è sempre la stessa. Pechino attaccherà l’isola? Michel Yakovleff, un signore che nei suoi 64 anni di vita ha raggiunto traguardi per pochi, un generale con esperienze di comando nella Legione Straniera, un uomo che ha toccato il punto più alto della sua carriera diventando numero due della NATO in Europa, in un’intervista concessa allo youtuber francese Xavier Tytelman ha espresso un’opinione particolare. La sua è una riflessione approndita, spogliata di ogni furore…ideologico (pensavate bellicista?), basata sulla conoscenza della materia: è l’analisi di un esperto. Nulla a che vedere con i circensi che spesso e volentieri affollano i nostri talk.

Yakovleff e la finestra di opportunità per un’invasione cinese

Yakovleff inquadra il contesto generale, non è animato da preconcetti, spiega che l’interpretazione delle mosse cinesi varia a seconda dei punti di vista. Pechino racconta di sé che vuole relazioni di buon vicinato con tutti i suoi vicini. Questi ultimi hanno un’idea differente: “Tutti, dal Giappone, in minor misura la Corea del Sud, Taiwan molto chiaramente, le Filippine, Indonesia, Vietnam” vedono un chiaro disegno “egemonico cinese“.

Nelle scorse settimane, Mike Minihan, alto generale dell’aeronautica USA, in un memo confidenziale indirizzato ai suoi superiori ha indicato nel 2025 l’anno di un possibile conflitto con la Cina. Lo ha fatto mescolando al suo istinto anche una serie di elementi. Qualche esempio: il fatto che il presidente cinese Xi Jinping abbia istituito il suo consiglio di guerra nell’ottobre 2022. E ancora: il convincimento che le elezioni presidenziali di Taiwan “forniranno a Xi una ragione“. Yakovleff sembra pensarla in maniera diversa. Interrogato sulla possibilità di un conflitto, il generale ammette che “è possibile, ma a mio avviso improbabile“. Il generale transalpino riconosce l’esistenza di una “finestra di opportunità” per il regime di Pechino ma valuta che si stia “gradualmente chiudendo“. Paradossalmente, sembra suggerire Yakovleff, sarebbe meno sorprendente un attacco da qui a poco tempo piuttosto che più in là nel tempo.

È sempre una questione di punti di vista. Siamo portati a pensare alla Cina come ad un colosso dalla crescita irrefrenabile. Per questo le portiamo rispetto, per questo ci incute addirittura timore. Ma Yakovleff ragiona: in realtà il “modello cinese ha perso slancio“. Elenca l’aspetto demografico, la popolazione che invecchia, lo scoppio della bolla immobiliare, la crescita economica in rallentamento, il fatto che metà del territorio sia sotto stress idrico. Sono elementi di fatto, ma che non sempre vengono tenuti in conto adeguatamente. Così Yakovleff ribadisce: “Xi Jinping vuole risolvere il problema di Taiwan, che lo preoccupa molta. E più si va avanti, più penserà: ‘Avrei dovuto farlo ieri’. Più si va avanti più la finestra di opportunità si chiuderà“. L’esempio utilizzato è quello della Borsa: “Quando hai delle azioni che sai che scenderanno, vendi prima che lo facciano tutti gli altri. Pensi: ‘Devo incassare i miei guadagni ora, devo vendere prima del crollo’“.

Yakovleff e l’analisi militare sorprendente: Taiwan potrebbe resistere da sola

Tytelman interroga il suo ospite: l’operazione Taiwan richiederebbe alla Cina l’impiego di centinaia di migliaia di uomini, il dominio dello spazio aereo, di quello marittimo, il tutto considerando (o almeno così si presume) una folta presenza militare internazionale schierata a difesa di Taipei. Pechino ha la capacità di venirne a capo? Non secondo l’ex numero due del Comando supremo delle potenze alleate in Europa: “Al momento non hanno questa capacità. Ad esempio la marina sta crescendo molto rapidamente, ma manca di equipaggio. (…) E poi 150 km di mare per raggiungere tre spiagge adatte allo sbarco e per conquistare un Paese molto montuoso…Francamente, non ci credo“. Yakovleff fa dei distinguo: precisa che se si tratta di sganciare “mille missili, devastare Taiwan” alla maniera in cui i russi lo hanno fatto a Mariupol a Bakhmut, allora i cinesi “possono farlo anche stanotte“, ma non c’è modo per loro di “conquistare” Taiwan e sconfiggere la sua popolazione. Il generale francese spiega che Taiwan “sta diventando più forte“, ha rafforzato la leva obbligatoria, soprattutto “le persone hanno cambiato atteggiamento massicciamente, perché credono nella possibilità della guerra come non ci credevano due anni fa. Questo è un contraccolpo dovuto allo shock dell’Ucraina e di Hong Kong. Taiwan“, per la Cina, “diventerà molto complicata” da prendere.

Ma anche ipotizzando un attacco cinese, sarebbe necessario un supporto diretto o indiretto? Il generale, come spesso gli capita, spiazza l’uditorio. L’esempio portato è quello dell’invasione russa: Mosca aveva migliaia di km di confine a disposizione: doveva soltanto scegliere i punti esatti nei quali attraversare. Per la Cina questo ragionamento non vale: “Ci sono 150 km di mare“. Se sei Taiwan “hai il tempo di vederli arrivare“. È un discorso che ritorna nei discorsi degli esperti militari. E ricorda molto da vicino quello fatto qualche tempo fa da George Friedman, secondo cui i cinesi impiegherebbero nove ore per arrivare a Taiwan: in quel lasso di tempo gli Stati Uniti sarebbero costretti a risolvere il dogma dell’ambiguità strategica. Washington correrebbe o meno in soccorso di Taipei? La lettura di Yakovleff è sorprendente perché elude questo bivio, arrivando a contraddire anche gli ultimi wargames, quelli secondo cui la tenuta dell’isola dipenderebbe essenzialmente da due aspetti: la volontà di combattere e la rapidità dell’intervento americano. L’ex numero 2 della NATO è in possesso evidentemente di informazioni diverse, valuta probabilmente il “fattore umano”, cita la particolare conformazione geografica di Taiwan, le tante spiagge e le montagne alle spalle, la possibilità di stringere i colli di bottiglia, arrivando ad enunciare quanto segue: “Taiwan può anche con i suoi mezzi attuali credere onestamente in una difesa territoriale. Può crederci. Può credersi capace di fermare un’invasione cinese“.

Yakovleff e la questione nucleare: “Ecco cosa Xi ha detto a Putin”. Il rischio di un “contagio”. La linea rossa dell’America e la previsione sui prossimi 20 anni

Yakovleff ritiene “credibile” che a Pechino stiano studiando con grande interesse l’andamento della guerra tra Russia e Ucraina. Una vittoria di Mosca verrebbe letta infatti dal Partito Comunista Cinese come un’autorizzazione a procedere all’unificazione con Taiwan: “È per questo che per il mondo libero è molto importante che l’Ucraina vinca, per evitare di suggerire strane idee. Non solo alla Cina. Ci sono altri Paesi del mondo che potrebbero avere idee…Soprattutto: è se lasci credere ad un comunista cinese che Taiwan è isolata, che non verrà difesa, che questo dirà a se stesso: ‘Ora o mai più’“. Traduzione dal dizionario Yakovleff: l’Occidente non deve concedere a Pechino elementi che la portino a considerare irrealistica l’ipotesi di un intervento in difesa di Taiwan. E, viceversa, evitare di sbilanciarsi troppo a favore di Taipei per scongiurare il rischio di provocazioni da parte dell’isola nei confronti del D…

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