Giugno 17, 2023

Boris Johnson come “Macbeth”: sfida disperata a Sunak. Cinque piani per riprendersi tutto ed una pazza idea: tornare sindaco di Londra

Fuori dal Parlamento, ripudiato dagli alleati di sempre, tradito dai fedelissimi, messo al bando dalla leadership del Partito e del Paese. Come possiamo crederti, BoJo? No, non ci cascheremo di nuovo. Non stavolta. Perché ci siamo già passati, per non sapere la delusione che si prova. Hai detto: “Mi imbarcherò sul primo volo per Londra, lascerò i Caraibi. Sì, addio alla vacanza con Carrie e prole. Lo faremo“. E com’è che è andata a finire? Hai già tentato una volta, Boris, di rimettere insieme tutti i pezzi, di riprendere il “tuo” posto al Numero 10, dopo la meteora Liz Truss. E noi lì, taccuino in mano, decisi a darti retta, pronti a prender nota, un parlamentare dopo l’altro, di un consenso che davvero sembrava ingrossarsi ora dopo ora. Circa 100 deputati Tories, in fila per te, pronti a darti fiducia. Ancora una volta, nonostante tutto. Ma poi, sul più bello, ecco arrivare Sunak. La nemesi che ti convince a non rischiare, a farti da parte per non rovinare il tuo record di invincibilità elettorale. E adesso, dunque, perché dovremmo crederti, di grazia? Perché proprio ora, non sull’orlo del precipizio ma già dentro al burrone, dovremmo pensare possibile che da qui a qualche mese lo scenario cambierà, che di Rishi Sunak nessuno ricorderà più niente dopo le prossime elezioni e che alla fine, sì, proprio alla fine di tutto, sarai di nuovo tu a riemergere dal fango?

Ai pochi che ancora ti sono rimasti al fianco racconti di avere un piano. Anzi molte alternative. Ma noi ci rinunciamo. Ne abbiamo letto alcuni stralci. E lo diciamo qui, sin da ora, sin da subito: se andrà in porto sarà epica, ma fino ad allora sarà tragedia. Ecco la sua trama:

Va' dalla tua padrona,
e dille di suonare la campana
quando la mia pozione sarà pronta.
Poi vattene a dormire.

(Il servo esce)

È un pugnale ch'io vedo innanzi a me
col manico rivolto alla mia mano?…
Qua, ch'io t'afferri!…No, non t'ho afferrato…
Eppure tu sei qui, mi stai davanti…
O non sei percettibile alla presa
come alla vista, immagine fatale?
O sei solo un pugnale immaginario,
un'allucinazione della mente,
d'un cervello sconvolto dalla febbre?
Ma io ti vedo, ed in forma palpabile,
quanto questo ch'ho in pugno, sguainato.
(…)
O gli occhi miei si son fatti zimbello
di tutti gli altri sensi,
o la lor percezione è così intensa
che a questo punto li soverchia tutti:
perch'io t'ho qui, dinnanzi alla mia vista,
e sulla lama e sull'impugnatura
vedo del sangue che prima non c'era….
(…)
Ma io minaccio, e lui continua a vivere.
Le parole, sul fuoco dell'azione
soffiano un'aria troppo raggelante.

(S'ode una campana)

Vado, ed è fatto. La campana chiama.
Sunak, non udirla: il suo rintocco
ti chiama al paradiso od all'inferno.

Bardo dell’Avon, noi imploriamo il tuo perdono. Porgiamo le nostre più sentite scuse per non aver domandato permesso. Ma siamo certi che avresti approvato, che pure tu avresti acconsentito che “Macbeth Johnson” è il solo modo che abbiamo per illustrarti il piano che mette nel mirino il sovrano “Sunak Duncano“. E dunque, adesso, messe le carte sul tavolo, crederai a noi se ti diciamo che fino a qualche giorno fa il sangue poteva essere evitato, la pace salvata?

Era il secondo pomeriggio di questo mese di giugno. Sunak e Johnson insieme, nella stessa stanza, entrambi animati – o almeno così oggi giurano – da buoni propositi, dopo mesi di silenzi e congiure. Boris, a dire il vero, quasi non sembra nemmeno più lui. Propone di collaborare alla rinascita del partito, dice che farà campagna elettorale presso il “red wall“, nel fortino laburista che lui solo nella storia è stato in grado di espugnare. Va pure oltre: promette solennemente di non avere ambizioni di leadership. E così, per l’infinto tempo di 25 minuti, tutto sembra un paradiso in terra. Ma è nei restanti 20 che il dramma prende forma. Boris solleva la questione della sua lista degli onori: intende assegnare titoli nobilari ai suoi fedelissimi – come la prassi consente – ma chiede a Sunak garanzie: che l’apposita commissione che passa al vaglio ogni proposta non scombini i suoi piani. E qui l’aria si raffredda: “Non voglio parlarne“, lo gela il primo ministro. E Boris di getto: “Dobbiamo parlarne!“. Ma Sunak non si smuove, comunica che al più non metterà i bastoni tra le ruote, che si limiterà ad approvare l’elenco che la Commissione per le nomine della Camera dei Lord deciderà di sottoporgli. Niente di più, niente di meno. Questo racconta dopo l’incontro, ma i Johnsoniani negano: Sunak, dicono, ha suggerito la sua disponibilità ad approvare la lista originale. C’era un “accordo tra gentiluomini“, e Rishi lo ha tradito.

Se ogni fine ha sempre un inizio, è qui che la palla di neve comincia a farsi valanga, a rotolare puntando la vallata. Di lì a pochi giorni, con Boris Johnson a bordo di un volo diretto al Cairo, avrebbe travolto tutto il Partito, tutto il Paese. E sì, molto presto, anche tutti noi. Noi che diciamo di non volergli credere, di non volerci fidare, ma continueremo a seguire la danza di BoJo, perché amiamo la musica della politica, il suo ritmo a volte affascinante, altre inquietante, ma pur sempre irresistibile. Perché vogliamo ballare, “all night long“, per tutta la notte, finché non finirà.

I cinque piani di BoJo per riprendersi tutto. Il voto nel giorno del suo compleanno (per fargli la festa). La pazza idea di tornare sindaco di Londra. Una penna per evitare “the last dance”

L’orologio segna le 12:00. Sei giorni da quell’incontro a Downing Street. Boris va in Egitto: lì dovrà tenere uno dei suoi discorsi lautamente retribuiti, ma la casella postale dell’ex sindaco di Londra richiama la sua attenzione, una mail cambia il suo destino. Mittente: Harriet Harman, incubo laburista di Johnson da molti mesi a questa parte, presidente del Comitato sui Privilegi chiamato a dire se BoJo abbia o meno mentito deliberatamente ai Comuni a proposito delle feste in tempo di lockdown, il celeberrimo Partygate. Harman lo informa: le indagini sono concluse e, a differenza di ciò che ti aspetti (o forse speri) la decisione di questa commissione è di punirti con sospensione dal Parlamento superiore ai 10 giorni. Quanto basta per invocare un’elezione suppletiva, per metterne a repentaglio il seggio.

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