Luglio 17, 2023

Mike Pence, l’uomo del (Suo) destino

Nascosto per interminabili minuti nei sotterranei del Campidoglio, impegnato nel tentativo di sottrarsi alla folla inferocita che ne voleva la testa, c’è da chiedersi se Mike Pence abbia infine pensato a suo padre.

Chissà se la vita gli è passata davanti. E con lei quell’uomo così severo da non essersi mai perdonato il fatto di essere sopravvissuto ai propri compagni d’armi, nella guerra di Corea.

Ma una cosa, al giovane Mike e ai suoi fratelli, Edward Pence con le buone e le cattive deve averla insegnata: ciò che ti rende la persona che sei è il modo in cui ti comporterai quando il vento soffia forte e soffia contro. Sarà lì, in quel preciso istante, in quel momento esatto, che dovrai dimostrare il tuo valore.

Forse è per questo che le grida e le offese di Donald Trump, la mattina del 6 gennaio 2021, quella dell’assalto al Congresso USA, devono essergli sembrate poco più di una carezza. Perché ha vissuto di peggio, Mike Pence.

I colpi di cinghia che lo raggiungevano, bambino, al pronunciare di una bugia, facevano molto più male del “fifone, fai la cosa coraggiosa!” urlatogli contro da un presidente uscente che voleva costringerlo a ribaltare il voto di milioni di americani.

Così, almeno un sorriso, una volta scampato il pericolo, una volta assicurata la tenuta del Paese con la leadership militare, sul volto apparentemente imperturbabile di Mike Pence dev’essere giocoforza spuntato. E che faccia avrebbe fatto, suo padre, sapendo che lui, suo figlio, il ragazzo che non sembrava tagliato per la politica, era stato così grande, così bravo, da salvare la democrazia americana?

Nessuno avrebbe scommesso un centesimo su di lui. Non negli anni del liceo, non all’università, non da avvocato. Mai stato un predestinato, non nel vero senso della parola. Ma Mike Pence, state pur certi, la penserebbe diversamente da voi. Vi direbbe, ad esempio, che dopo aver perso due volte di fila una poltrona al Congresso (1988 e 1990), e dopo 10 anni lontano dalla politica, soltanto un predestinato – nel senso di guidato da Dio – avrebbe potuto ritentare la sorte, sfidarla, vincerla. E vi direbbe, con modestia sincera, che, dopotutto, il merito non è nemmeno suo. Lui ha fatto soltanto una cosa: ha saputo cogliere il segnale venuto dal Cielo, ormai molto tempo fa, nel mezzo di una gita al ranch, in Colorado.

Immaginate la scena: Mike Pence vede due falchi dalla coda rossa librarsi in cielo. E ad un certo punto si volta verso la moglie Karen: “Quei due uccelli siamo noi“, le dice.

C’è un motivo se Karen è la sua metà, e si intuisce, perché non ha bisogno di ulteriori domande, per capire: “Se quei due uccelli siamo noi, allora penso che dovremmo farlo. Ma dovremmo farlo proprio come gli uccelli: aprire le ali e lasciare che Dio ci porti dove vuole. Senza sbattere le ali“.

Ed è vero, lo so che lo pensate, Dio davvero voleva portare Mike Pence nello Studio Ovale abitato da Donald Trump? Era questo il disegno divino?

Perché i due legano, al di là delle differenze. E parlano, parlano, parlano. Parlano così tanto da rendere incredibile per entrambi, ad un certo punto, la sola idea di non parlarsi più. Ma pure stavolta non dovreste dubitare. Perché Pence chiarirebbe: “Sono un cristiano, un conservatore, un repubblicano: in quest’ordine“. C’è un aneddoto: Mike Pence diventa repubblicano il giorno dopo aver votato per un presidente democratico, Jimmy Carter. È il 1980. Il suo nuovo insegnante di storia, il professor Curtis, gli dimostra che Ronald Reagan non è la “vacua star del cinema” che Pence credeva che fosse.

È una lezione che oggi può tornargli utile: non c’è cosa più complicata che scrollarsi un’etichetta di dosso. Figurarsi se su quella etichetta c’è scritto “traditore“. Incontrando migliaia di elettori, nella sua lunga e disperata corsa verso la nomination repubblicana, non c’è giorno in cui qualcuno non lo accusi di aver tradito Donald Trump e la sua gente. E di essere l’unico vero responsabile della presenza alla Casa Bianca di Joe Biden.

Ad una di queste elettrici, in Iowa, il primo Stato in cui tra qualche mese si capirà se l’impresa è davvero impossibile, ha risposto sfoggiando un guizzo d’orgoglio inatteso: “Grazie a Dio, so di aver fatto esattamente ciò che la Costituzione degli Stati Uniti quel giorno mi chiedeva di fare. Ho mantenuto il mio giuramento“.

La corsa impossibile per diventare presidente. La visita in Ucraina. e la risposta coraggiosa al populista Tucker Carlson. La frase incisa sul camino del vicepresidente. Tutto quello che non sapete di Mike Pence

Oggi i sondaggi lo danno al terzo posto su base nazionale, distante anni luce da Donald Trump e dal suo primo sfidante, Ron DeSantis. Chi lo conosce personalmente, nel suo staff, non si dà quasi pace: “Se Mike Pence fosse solo se stesso invece del 7 percento nei sondaggi, sarebbe al 20 percento in questo momento“. Dicono sia dotato di grande umorismo. La sua imitazione di George W. Bush e di Bill Clinton ha assunto oramai i contorni della leggenda. Negli anni da studente era per sua stessa ammissione “sovrappeso e infelice“. Così, per piacere alle persone, ha fatto leva sul senso dell’umorismo.

Ma non su tutto è lecito scherzare. Qualche giorno fa, ospite ad una kermesse condotta dall’anchor repubblicano Tucker Carlson, reduce da un viaggio in Ucraina a sorpresa, dall’omaggio al coraggio di Zelensky e ai morti di Bucha, Mike Pence ha…

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