Agosto 15, 2023

Libia nel caos. Scontri a Tripoli tra milizie e Dbeibah in bilico: cosa sta succedendo e i possibili scenari

Ad alcune ore dall’inizio degli scontri in quel di Tripoli, per Jalel Harchaoui è ormai evidente che quanto sta accadendo in Libia non è un piccolo incidente“. È a dir poco allarmata la voce di uno dei maggiori esperti in circolazione del Paese nordafricano, contattato da questo Blog.

Associate fellow presso il Royal United Services Institute (RUSI), il più antico e più importante think tank del Regno Unito in materia di difesa e sicurezza, Harchaoui non usa mezzi termini per definire “molto, molto, molto grave” la situazione nella capitale libica. Ed ammette: “Potremmo essere sulle soglie di una grande ondata di scontri, molto pericolosi e violenti“.

Il nostro colloquio avviene mentre centinaia di persone sono state già interessate dagli scontri: i loro quartieri dati a fuoco, le abitazioni distrutte. A Tripoli si contano decine di feriti. E il ministero della Salute ha invitato a donare tutti i tipi di sangue per salvare le vittime delle violenze in corso. Se non ne avete sentito parlare nei telegiornali, il motivo è semplice: è Ferragosto. Ma l’importanza delle vicende libiche, per l’Italia e per tutti i Paesi del Mediterraneo, è primaria. Ancora di più se, a detta di chi conosce la realtà tripolina meglio di chiunque altro, il rischio che la situazione degeneri è quanto mai reale.

Per capire, bisogna prima fare un passo indietro. Spiegare cioè perché il sequestro da parte della Special Deterrence Force (RADA) di Mahmoud Hamza, colonnello dell’esercito libico a capo della Brigata 444, abbia il potenziale per far esplodere irrimediabilmente le mille tensioni latenti nel Paese.

Occorre dunque tornare ai giorni delle battaglia di Tripoli condotta dal maresciallo Haftar alcuni anni fa, agli scontri in cui Hamza si distingue come comandante della milizia 20-20, un ramo della stessa Special Deterrence Force che oggi lo ha posto sotto sequestro.

Le sue abilità, le sue doti di comando, non passano inosservate nelle ore in cui Haftar sembra destinato a mettere le mani sul sogno accarezzato per tutta una vita: passare dall’essere il Signore della Cirenaica a quello di tutta Libia. Sono in particolare i turchi a notarlo: hanno garantito la sicurezza dell’allora premier Sarraj, mentre l’Italia rifiutava di utilizzare lo strumento militare per tutelare i suoi interessi in loco (ENI, basta la parola), ed hanno vinto la loro scommessa, estendendo la loro influenza nel Mare una volta Nostrum.

Proprio i turchi spingono perché la milizia di Hamza abbandoni la RADA per imboccare la propria strada. Inglobata all’interno del ministero della Difesa, non più alle dipendenze del ministero dell’Interno, la brigata di Hamza cambia così nome: da 20-20 diventa 444, un braccio armato che riceve da Istanbul sempre più attenzioni, equipaggiamento, addestramento, considerazione.

La crescita di Hamza è travolgente. I suoi contatti dentro e fuori la Libia lo rendono uno dei personaggi più influenti del Paese. Incontra Saddam Haftar, il figlio prediletto del maresciallo Khalifa, vola in Giordania, negli Emirati, in Egitto, ovunque ci sia da discutere politiche di sicurezza, equilibri di potere. “Se diventi un leader che vola ad Istanbul, vola al Cairo, ad aumentare sono le tue entrate, il tuo prestigio, le tue opportunità, il tuo riconoscimento“, spiega oggi Harchaoui. E forse è proprio questa crescita smisurata ad irritare i suoi vecchi compagni di viaggio. Gli uomini della RADA colgono Hamza di sorpresa. Lo sequestrano mentre è in procinto di decollare dall’aeroporto Mitiga di Tripoli alla volta di Misurata. Lo fanno scendere dall’aereo e lanciano un messaggio chiaro: la 444esima Brigata non controlla la capitale. Ma l’impressione, al secondo giorno di scontri, è che i loro conti siano sbagliati. Gli uomini di di Hamza, spiega Harchaoui, “stanno conquistando vaste porzioni di territorio abbastanza facilmente“. La partita “non è finita, c’è da aspettarsi una controffensiva“, ma è un fatto che i sodali dell’ostaggio siano alle porte dell’aeroporto, vicini al punto che alcuni arrivano ad ipotizzare la possibilità di un assalto allo scalo, da anni roccaforte della stessa RADA.

Harchaoui scommette che “si fermeranno prima“, che non avranno bisogno di arrivare a tanto. Ma è la dinamica politica quella che più inquieta gli osservatori internazionali in queste ore. Ed è quella che ha a che fare con il ruolo dell’attuale primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, con la stabilità della Libia.

La mediazione fallita di Dbeibah. Perché ora il primo ministro libico rischia il potere

Il suo primo tentativo di mediazione sembra infatti essere fallito. Le parole del suo vice, Ramadan Abu Janah, affinché “tutte le parti a Tripoli” dessero “la priorità al linguaggio della ragione e a non ascoltare chi vuole scuotere la stabilità e la sicurezza della capitale“, sono cadute nel vuoto.

È il segno che Dbeibah non esercita l’autorità di cui credeva – o ha voluto far credere – di disporre. Mentre ancora la comunità internazionale insegue in maniera finora veilletaria l’ipotesi di tenere nuove elezioni, è già evidente che il capo del governo libico sia “il grande perdente” di questa crisi, sentenzia Harchaoui.

Impossibilitato com’è a presentarsi come l’uomo della “stabilità pragmatica a Tripoli<…

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