Settembre 23, 2023

Mark Milley al passo d’addio. Storia segreta del generale USA che salvò il mondo dalla Terza Guerra Mondiale

Adesso che il viale del tramonto è imboccato, ora che il suo servizio è terminato, Mark Milley alterna bilanci del proprio passato a previsioni sul futuro americano. Da anni, dal portico della sua residenza, osserva il Campidoglio sottostante. “Roma non è caduta“, ripete agli ospiti in visita prima di congedarli. Ma quella battuta, negli ultimi tempi, ha subìto una leggera modifica: “Roma non è ancora caduta“, commenta il generale USA al passo d’addio.

La città è sempre lì, sulla collina. E Dio forse benedice ancora questo popolo più di altri. Ma se prima di lui nessun presidente del Joint Chiefs of Staff era stato costretto ad occuparsi di un tentativo di colpo di stato, se le sfide che ha dovuto affrontare sono state tali da renderlo figura chiave nel Paese come all’estero, allora il segno dei tempi si coglie senza fatica. E si capisce perché, nel passare la mano, Mark Milley sia costretto a chiedersi oggi cosa sarà dell’America e del mondo libero.

Harold Herring aveva 37 anni, alla fine del 1973. Di ritorno dal Vietnam, prestando servizio come membro dell’equipaggio missilistico Minuteman, pose ai propri superiori la domanda che cambiò la sua vita. E quella di molti altri dopo di lui. “Come posso sapere se l’ordine di lanciare i miei missili proviene da un presidente sano di mente?“.

Girare una chiave con forza verso destra, tenere premuto per due secondi, senza farsi troppe domande. Questo richiedeva l’Air Force ai suoi ufficiali di lancio per innescare un’arma capace di uccidere milioni di persone nello spazio di pochi minuti. Herring fu congedato, ma fece appello: “Devo dire che sento di avere il bisogno di sapere, perché sono un essere umano“, scrisse nella sua lettera di protesta.

Negli anni della presidenza Trump, pure Mark Milley dev’essere stato toccato dal dilemma del maggiore Herring. Limitarsi ad eseguire gli ordini? Anche se questo significa tradire il proprio giuramento? “Vedete, siamo unici tra gli eserciti. Siamo unici tra i militari. Non prestiamo giuramento a un re o a una regina, a un tiranno o a un dittatore. Non prestiamo giuramento ad un individuo. No, non prestiamo giuramento ad un Paese, a una tribù o ad una religione. Noi giuriamo sulla Costituzione…“.

È così che Mark Milley ha compiuto la sua scelta.

Anno 2017. L’amore tra Trump e Kim Jong-un non è ancora scoppiato. E non sono in pochi, nella cerchia del presidente, a preoccuparsi che la sua retorica incendiaria possa innescare una guerra con la Corea del Nord. Una guerra vera.

C’è chi tenta di spiegargli che Kim il dittatore, già ribattezzato Little Rocket Man, possa essere spinto dalle sue stesse elite militari a colpire gli interessi americani. Trump non lo crede, né vacilla dinanzi all’altra argomentazione che il suo capo dello staff dell’epoca, il generale in pensione John Kelly, gli sottopone: uno scambio nucleare con Pyongyang, per quanto “limitato”, avrebbe come prezzo la vita di milioni di coreani e giapponesi. Per non dire degli americani residenti nel Pacifico. Guam, ad esempio, rientra ampiamente nel raggio d’azione dei missili nordcoreani. Ma “Guam non è l’America“, risponde Trump…

Il 2 gennaio 2018, l’inquilino della Casa Bianca partorisce uno dei suoi tweet più celebri e pericolosi: “Il leader nordcoreano Kim Jong Un ha appena dichiarato che ‘il pulsante nucleare è sempre sulla sua scrivania‘. Qualcuno del suo regime impoverito e affamato lo informi per favore che anch’io ho un Pulsante Nucleare, ma è molto più grande e più potente del suo, e il mio Pulsante funziona!“.

Se chiudete gli occhi, se vi pensate nei panni dell’ufficiale, potete quasi sentire il dilemma del maggiore Hering venire a galla, rimbombare nella testa di chi, dalla base militare di Minot, North Dakota, rappresenta l’ultimo ostacolo tra un possibile ordine di attacco e il lancio di missili balistici intercontinentali capaci di raggiungere l’altro capo del mondo nel giro di pochi minuti.

È da lì che Mark Milley, a distanza di anni, oggi svela: “Non sarebbe accaduto. La catena di comando va dal presidente al segretario alla Difesa, fino a quel ragazzo“. Come dire: qualcuno avrebbe sfidato l’ordine di Donald Trump, se fosse servito. Ma ci sono volte in cui nemmeno la parola d’onore della più alta carica militare americana sembra essere abbastanza.

6 gennaio 2021. Poche ore dall’assalto di Capitol Hill. “È pazzo“, scandisce al telefono Nancy Pelosi. E Milley non ha bisogno di chiarimenti per capire che il bersaglio della speaker della Camera USA è il presidente Trump.

La democratica della California è in uno stato di evidente apprensione. Teme che il presidente possa forzare la mano. Mobilitare l’esercito per blindarsi alla Casa Bianca. Attaccare i nemici dell’America per prolungare la propria presidenza a tempo indeterminato. Così, quando è chiamata a scegliere un solo numero da comporre, Nancy Pelosi opta per una linea non classificata, decide per il telefono personale di Mark Milley.

Quali precauzioni sono disponibili“, chiede Pelosi, “per evitare che un presidente instabile dia inizio alle ostilità militari o acceda ai codici di lancio e ordini un attacco nucleare? La posizione di questo presidente squilibrato non potrebbe essere più pericolosa. Dobbiamo fare tutto il possibile per proteggere il popolo americano dal suo scriteriato assalto al nostro Paese e alla nostra democrazia“. I toni utilizzati dalla speaker sono durissimi, non amettono repliche. Così ha inizio la partita di Milley: “Posso dirle che abbiamo molti controlli nel sistema. E posso garantirle, può giurarci, (…) che gli inneschi nucleari sono sicuri e che non faremo – non permetteremo che accada qualcosa di folle, illegale, immorale o non etico“. Ma Pelosi insiste: “E come pensate di farlo? Gli porterete via la valigetta o qualsiasi altra cosa sia?“. “Beh“, risponde Milley, “abbiamo delle procedure. Ci sono codici di lancio e procedure necessarie (…). E posso assicurarle, come presidente dello Stato Maggiore, che non succederà…“. Sono parole importanti, se pronunciate da un pezzo grosso come Milley, eppure Pelosi non molla la presa: “Quindi, se avesse qualche timore che possa accadere, quale sarebbe la misura che prenderebbe?“. E Milley: “Se pensassi anche solo per un nanosecondo che… non ho un’autorità diretta ma ho molta capacità di impedire che accadano brutte cose nel mio piccolo…“. Pelosi lo interrompe: “Il popolo americano ha bisogno di essere rassicurato su questo, generale. Cosa è disposto a dire pubblicamente al riguardo?“.

“Nulla”, pensa Milley tra sé e sé. È un militare, non un politico. Per questo ritiene che una dichiarazione pubblica su codici nucleari o sulla postura dell’esercito, in una fase di caos come quella che gli Stati Uniti stanno sperimentando, possa rivelarsi controproducente, portando a molteplici e differenti interpretazioni, alimentando il disordine, aumentando l’apprensione, dentro e fuori i confini nazionali. Così decide di giocare l’ultima carta nel suo mazzo, sceglie di fare leva sulla propria autorevolezza: “Questo è uno di quei momenti, signora Presidente, in cui deve fidarsi di me. Glielo garantisco. Le do la mia parola. (…) L’esercito degli Stati Uniti è saldo come una roccia e non faremo nulla di illegale, immorale o contrario all’etica con l’uso della forza“.

Ma qual è il timore che aleggia attorno alla Casa Bianca nelle ore immediatamente successive all’assalto al Campidoglio? E perché va rinforzandosi il timore di un possibile attacco ad un Paese straniero? Qual è la nazione con cui l’America potrebbe confrontarsi in campo aperto?

L’intelligence americana e la convinzione di Pechino: “Trump sta per attaccarci”. La telefonata di nascosto al generale di Pechino. Come Milley salvò il mondo dopo il 6 gennaio

Per capire, bisogna riportare indietro l’orologio di molti mesi, alle preoccupazioni che lo stesso Milley condivide in privato con alcuni dei suoi amici più fidati, soldati come lui. Peter Chiarelli (palesi origini italiane), ex vice dello staff dell’Esercito USA è uno di questi. Si conoscono da una vita, si vogliono sinceramente bene. Per questo Chiarelli non capisce come sia possibile che proprio uno come Milley, il suo amico Mark, abbia deciso di sfilare accanto a Donald Trump a Lafayette Square.

Download on the App Store

Scarica l'app ufficiale su App Store

2 commenti su “Mark Milley al passo d’addio. Storia segreta del generale USA che salvò il mondo dalla Terza Guerra Mondiale

Lascia un commento