Settembre 30, 2023

USA, shutdown ad un passo. Congresso nel dramma: speaker McCarthy “ostaggio” dei ribelli repubblicani. Congiura in corso per sostituirlo

Soldi e politica. Rancore e tradimenti. Vita, America. C’è questo in gioco – e molto altro – nelle trattative febbrili che da settimane infiammano il Congresso.

Gli attori vanno in scena, il pubblico osserva perplesso. Ed una domanda aleggia ora sull’intero spettacolo: alla mezzanotte di oggi la carrozza si trasformerà in zucca o continuerà a viaggiare? Solo qualche ora, sabbia che si deposita nella clessidra, e poi centinaia di migliaia di dipendenti pubblici saranno messi in congedo. Altrettanti saranno costretti a lavorare senza retribuzione. Si scrive shutdown, si legge caos.

L’ultima volta accadde nel dicembre 2018, presidenza Trump: durò 34 giorni. Adesso gli esperti di Goldman Sachs mettono in guardia: la possibilità di un accordo last minute c’è ancora (è la politica, bellezza), ma le probabilità di una chiusura del governo a partire dal 1° ottobre sono salite al 90%. Attenzione al passaggio successivo:

Nel caso apparentemente improbabile che il Congresso approvi una proroga a breve termine, ci aspetteremmo comunque una chiusura qualche tempo dopo nel quarto trimestre.

Come dire: siete destinati a soffrire.

La previsione è che lo shutdown duri il tempo di 2-3 settimane. Senza un accordo oggi sarebbe improbabile mettere una pezza nell’immediato: la frattura tra le parti diventerebbe più ampia. Per una soluzione si dovrebbe attendere la pressione politica proveniente dalla quotidianità delle persone. Traduzione: dalla gente che reclama gli stipendi. In particolare, sottolinea Goldman Sachs, “le date di pagamento per i militari in servizio attivo (13 ottobre e 1 novembre) potrebbero essere potenziali punti di pressione“.

La battaglia è violenta, senza esclusione di colpi, come sempre accade a Capitol Hill. Per capire bisogna passeggiare nei suoi corridoi, infiltrarsi nelle riunioni a porte chiuse dei partiti.

Anche l’ultima soluzione di compromesso per ottenere una proroga al finanziamento del governo federale, per evitare lo shutdown e guadagnare qualche giorno, è stato bocciata. Domanda: da chi? Dai repubblicani della Camera, dalla fronda che da qualche mese rappresenta la spina nel fianco dello speaker, Kevin McCarthy. È stato lui, il titolare del martelletto, a sfidare i colleghi ad opporsi alla misura. Ma la banda che tiene in ostaggio il Congresso, il gruppo che riunisce i conservatori radicali fedelissimi di Trump noto come Freedom Caucus, ha visto il suo bluff, messo a nudo la debolezza di McCarthy. E vinto l’azzardo.

McCarthy, un signore machiavellico, non esattamente uno sprovveduto (basti dire che il personaggio di Frank Underwood, in “House of Cards”, ne ha tratto ispirazione) aveva tentato di attirarli nella rete, inserendo nella legge alcune disposizioni inerenti il rafforzamento del confine meridionale: miele per i conservatori.

Ma i ribelli hanno resistito: no ad un accordo provvisorio, di qualsiasi tipo. Così ventuno repubblicani hanno “tradito” le indicazioni del leader della maggioranza, votato con i democratici, affossato la legge.

E se l’iniziativa fosse del Senato? Se si seguisse la strada tracciata dai colleghi della camera alta che con 76 voti a favore e 22 contrari hanno chiesto di aprire il dibattito su una proroga (acronimo CR) che estenderebbe la spesa federale fino al 17 novembre? Niente da fare. McCarthy, dopo una riunione a porte chiuse con la pattuglia repubblicana è stato chiaro: “La legge sbagliata del Senato“, contenente 6 miliadi di dollari di aiuti all’Ucraina e altrettanti per i disastri interni, “non ha alcun percorso da seguire ed è morta in partenza“.

Tutto è complesso a Capitol Hill. A maggior ragione se a fare da sfondo alle priorità politiche sono anche questioni personali. L’incubo di Kevin McCarthy, per essere chiari, si chiama Matt Gaetz.

È un giovane avvocato della Florida. Incarna alla perfezione il ruolo del cattivo dei film. È spregiudicato, radicale, leggermente sulfureo. Nel dramma politico consumatosi a gennaio, quando McCarthy fu costretto a 15 votazioni (qualcosa di simile non si vedeva dal 1859) prima di essere eletto speaker, fu uno dei pochi a non piegarsi. Il martelletto a Kevin? Se proprio dovete, ma senza il mio voto…

Ormai da mesi i quotidiani politici a stelle e strisce si interrogano sulle reali intenzioni di Matt Gaetz. Cosa vuole davvero? E fino a che punto è disposto a spingersi per ottenere i suoi obiettivi? Infine: c’è la sua regia dietro la congiura che prende vita in queste ore, parallelamente alla corsa per evitare lo shutdown, e che punta a sostituire McCarthy?

L’obiettivo nascosto di Gaetz. “Non ho paura”, la sfida a muso duro di McCarthy. La congiura per sostituire lo Speaker

C’è chi sostiene che sia tutto collegato alla sua sfrenata ambizione, alla voglia di farsi un nome da duro in vista di una possibile candidatura a governatore della Florida, per il dopo DeSantis, nel 2026. Lui nega. E chi lo conosce conferma: “Vuole Kevin. Questo è tutto, e tutto il resto ruota intorno a questo“.

Così, se è solo la testa di McCarthy che vuol vedere rotolare sul “pavement” del Congresso, allora non deve sorprendere che nelle ultime ore abbia iniziato a fare capolino tra i deputati anche lo spettro di una “opzione nucleare“. Una mozione di sfiducia nei confronti dello Speaker.

Quando i Democratici presero il controllo della Camera, nel 2019, modificarono i regolamenti per proteggere Nancy Pelosi da eventuali atti ostili. Ma a gennaio, per ottenere il sì dei ribelli, McCarthy ha dovuto rinunciare alla sua rete di protezione. Oggi basta un singolo deputato a…

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