Caos Speaker. Trump torna (forse) a Capitol Hill e benedice Jordan. La sfida di Scalise, “il Sopravvissuto”. Preoccupazione Ucraina: senza McCarthy aiuti mai così a rischio
Dicono che Donald Trump ci stia pensando sul serio. Tornare lì, sul luogo del delitto, dove tutto ha avuto inizio. O forse è finito. A Capitol Hill, i conservatori duri e puri, lo aspettano a braccia aperte. Al punto che qualcuno azzarda: “Scusate, perché non lui? Prima Speaker, poi presidente!“.
Costituzionalisti di fama nazionale hanno risolto il dilemma anzitempo. Le incriminazioni, che forse non sono d’ostacolo alla sua corsa alla Casa Bianca, impediscono però al candidato di ambire al martelletto. Fine dei giochi. O forse no.
Perché The Donald, che ama nella vita poche cose più della luce dei riflettori, stuzzicato sul tema non si tira indietro: “Potrei farlo se necessario, al massimo per 30, 60, 90 giorni“. Il tempo utile a consentire ai Repubblicani della Camera di trovare un’intesa.
Show in purezza, senza possibilità di avverarsi in concreto.
Eppure qualcosa la presenza di Trump al Campidoglio significa. Tradirà – tradirebbe – non solo il gusto di tornare per la prima volta da quel famoso 6 gennaio nel tempio violato, ma pure la volontà dell’ex presidente di vestire i panni del kingmaker, come in realtà si è già intuito in queste ore.
Sì, perché nella corsa alla successione di Kevin McCarthy non si ravvisano soltanto tracce di Hunger Games, ma pure test di fedeltà macchinati dall’ex inquilino della Casa Bianca. Quest’ultimo, infatti, il suo endorsement lo ha già pronunciato. Beneficiario Jim Jordan, trumpiano di lungo corso, co-fondatore di quel Freedom Caucus che da mesi tiene in scacco il Congresso, un passato da wrestler ai tempi del college che ha mandato in visibilio il tycoon.
E allora mettiamoli insieme, gli indizi accumulati in questo caso finora irrisolta. Se Trump si è esposto, ha scelto il suo uomo, ed è sempre più padrone del Partito Repubblicano, allora perché i deputati GOP esitano a schierarsi come da attese per il candidato prescelto?
Il gioco del pallottoliere. La storia di Scalise, “il Sopravvissuto”. L’ipotesi di un “McCarthy-bis” e l’ombra sul Congresso: perché il sostegno all’Ucraina non è mai stata così a rischio
La risposta è anche l’anteprima dello spettacolo alle porte: i deputati conoscono il Congreso meglio di Trump, dispongono del pallottoliere, e sanno che nessuno, oggi (ma forse neppure domani), può vantare i 218 voti repubblicani necessari ad afferrare il martelletto.
Non Jim Jordan, inviso alla frangia moderata del Partito. E neanche Steve Scalise, il numero 2 del Gop alla Camera, adesso chiamato a fronteggiare l’ostilità del suo numero Uno, proprio Kevin McCarthy.
Si dice che fedelissimi dell’ex Speaker stiano in questi g…