Novembre 7, 2023

Bill Burns, l’uomo del Presidente. Retroscena: viaggio in Israele e dossier ostaggi. L’ultima missione segreta dello 007 della Casa Bianca

Forse davvero Bill Burns è il personaggio di un romanzo di John Le Carré. L’agente segreto che nel mezzo di una festa all’ambasciata sussurra all’orecchio di un dignitario che la città sta cadendo in mano ai ribelli, e che una nave sarà al porto ad aspettarlo a mezzanotte.

Abbiamo però una certezza: è il signor Destino a guidare i suoi passi. Se così non fosse, chi altri lo avrebbe messo sulla strada di Joe Biden?

Quando il neo-eletto presidente cerca un candidato per il posto di direttore della CIA la prima scelta è Tom Donilon, un passato da consigliere per la sicurezza nazionale di Barack Obama. Ma il prescelto non sembra così convinto. Al rischio di guidare un’agenzia di intelligence uscita malconcia dagli anni di Trump preferisce gli agi dell’impegno nel settore privato.

È così, scorrendo il dito sulle rubriche telefoniche gelosamente custodite nei cassetti dello Studio Ovale, che lo sguardo di Joe Biden si posa sul nominativo di Bill Burns.

E dire che all’esperto diplomatico, in quei frangenti, hanno già messo in tasca un biglietto aereo per l’Oriente. Ad attenderlo c’è un’ambasciata a sua scelta, Tokyo o Pechino: “Decida Lei, Mr. Burns“. Ma il quesito resta inevaso, il rebus da sciogliere. Perché non c’è neanche il tempo di rispondere: la telefonata del Presidente, quella a cui non si può dire di no se pensi a te stesso come ad un servitore dello Stato, arriva prima.

Si dice che durante il suo briefing quotidiano, Biden chieda spesso la presenza di Burns. Si conoscono da circa un quarto di secolo. Hanno fatto la gavetta entrambi. E sono abituati ad avere opinioni diverse, alle volte a scontrarsi. Nella Situation Room di Barack Obama, Burns è tra quelli che spingono per entrare nel labirinto di Abbottabad, in Pakistan, sa che è l’occasione per stanare Osama bin Laden. E pensa non ne capiteranno di altre. Biden no, Biden teme per i soldati, per le più ampie conseguenze di un fallimento, e sussurra all’orecchio del più giovane presidente: “Don’t go“. Non è dispiaciuto di avere torto, quando tutto si risolve per il meglio: la sua mano cerca la spalla di Obama e la stringe forte: “Congratulations, boss“.

Bill Burns: la stoccata a Vladimir Putin nel viaggio a Mosca. L’agenda “sacra” e l’ultima missione in Israele

Non è dunque una camera dell’eco che Joe Biden vuole ricreare: sa che Burns è un uomo saggio, che ha un bagaglio di esperienza più unico che raro. Parla russo, arabo, francese. Ha girato il mondo, era nell’occhio del ciclone ogni volta che è cambiato. Ed è per questo che negli anni è diventato il delegato del presidente per le missioni (im)possibili.

Poggiare lo sguardo sull’agenda di appuntamenti di Burns è il sogno proibito dei giornalisti di politica estera ai quattro angoli del globo. Sacro oggetto, pietra filosofale, sfera di cristallo sulle cose del mondo. Non è un caso che la stampa internazionale arrivi (quasi) sempre dopo sulle sue tracce, che scopra con un ritardo il più delle volte di settimane (nemmeno giorni) la sua ultima tappa.

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