Novembre 8, 2023

USA, appunti elettorali. Il “jolly” democratico, il ko di Youngkin, il problema di Biden e…il “fattore D”

Una notte elettorale statunitense è alle spalle. Ed è sempre uno spettacolo da raccontare. Ma perché gli strateghi Democratici e Repubblicani compulsano i risultati di partite locali proiettandoli sulle presidenziali del 2024? I motivi sono almeno tre.

Il primo è di calendario: quello di ieri era l’ultimo vero (relativamente grande) test per entrambi i partiti in vista della corsa alla Casa Bianca. Breve promemoria per i distratti: tra un anno si vota.

Il secondo motivo riguarda strettamente l’analisi politica: in Ohio gli elettori sono stati chiamati a decidere se inserire o meno all’interno della Costituzione dello Stato il diritto all’aborto. Perché è importante? Perché sono trascorsi 16 mesi da quando la Corte Suprema ha annullato la storica sentenza Roe v. Wade, annullando di fatto il diritto all’aborto a livello federale, e consentendo ai singoli Stati di regolarsi autonomamente. Risultato: in questi 16 mesi, ben 6 Stati hanno svolto votazioni dirette sul futuro del diritto all’aborto all’interno dei propri confini. E per tutte e 6 le volte il fronte “pro choice” ha prevalso. Facciamo 7, perché anche l’Ohio, ieri notte, ha percorso lo stesso cammino.

E qui si torna alla domanda di cui sopra: perché è importante questo voto in chiave nazionale? Perché c’è la conferma che il diritto all’aborto è un tema molto sentito dall’opinione pubblica americana. Forse “il” tema di questa fase storica negli Stati Uniti.

Contesto: l’Ohio non è più lo Stato chiave per eccellenza, non è più vero che “chi vince in Ohio vince la Casa Bianca“. Prova ne sia il fatto che nel 2020, nell’anno della vittoria di Biden, a vincere in Ohio è stato Trump. Proprio questa circostanza, il fatto cioè che anche in uno Stato rosso (il colore del Partito Repubblicano) come l’Ohio – e in precedenza anche in altri Stati dello stesso orientamento, come Kansas e Kentucky – abbia vinto il fronte favorevole all’aborto segnala quanto la sensibilità su questo tema sia trasversale negli Stati Uniti.

Traduzione cinica: gli strateghi Democratici hanno un jolly importante da giocare alle prossime presidenziali. È vero che Biden ad un anno dal voto (un’eternità in politica) ha un grosso problema di gradimento all’interno dell’opinione pubblica, ma i democrats tenteranno senza dubbio di giocare la carta della difesa del diritto all’aborto nella prossima campagna elettorale. Perché? Perché un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma sette indizi fanno una prova.

Il terzo motivo di interesse. Il KO di Youngkin. Il bicchiere mezzo vuoto di Biden e il…”fattore D”.

Per trovare il terzo motivo dobbiamo spostarci in Virginia.

Contesto: Stato vinto nel 2020 da Joe Biden, nel 2021 ribaltato dai Repubblicani con la vittoria del governatore Glenn Youngkin, astro nascente del GOP, da mesi indicato come possibile alternativa a Donald Trump in caso di possibile (fino ad oggi sempre smentita) candidatura last minute alle primarie del Partito.

In gioco, alle elezioni di ieri, c’era il controllo del parlamento locale, con una situazione di partenza che vedeva i Repubblicani controllare la Camera e puntare il Senato. Youngkin aveva scommesso su una “nuova” strategia repubblicana sul tema dell’aborto: promettere che se gli elettori avessero dato al GOP il controllo di entrambe le Camere avrebbe approvato il divieto di aborto dopo 15 settimane di gravidanza ma prevedendo delle eccezioni per i casi di stupro, incesto e saluto della madre.

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