Novembre 11, 2023

La cometa di Hal(l)ey. Forza, talento, fortuna: la donna che può battere Trump e prendersi la Casa Bianca

Mente e cuore di Nikki Haley sono ancora lì, in quel piccolo alimentari di Columbia, South Carolina. È una bambina, la “figlia orgogliosa di due immigrati indiani“, ma quel giorno appartiene alla lista dei “non si dimentica”.

Con suo padre sono usciti a comprare un po’ di frutta, e quel chiosco lungo la strada sembra perfetto. Ma allora perché, al momento di imbustare la merce, gli sguardi dei proprietari sono così ostili nei confronti di Ajit Singh Randhawa? E cosa mai vorranno dal suo turbante?

Adesso uno dei due impugna il telefono in modo furtivo. E di tempo per capire non ce n’è. Qualche minuto appena: un paio d’auto della polizia sfrecciano in quella direzione. L’uomo non si scompone. Una volta alla cassa, stringe la mano degli agenti che ancora lo fissano con insistenza. Paga, saluta, ringrazia. Ha già capito che il problema è proprio il suo turbante, il suo aspetto, ma che può farci? “Mio padre non ha detto una sola parola tornando a casa. Sperava che non me ne fossi accorta. Ma io soffrivo per lui“.

Molti anni dopo, quando un giovane uomo bianco entra nella chiesa cristiana metodista di Charleston, si siede accanto ad un gruppo di fedeli neri e poi comincia a sparare, Nikki Haley, da governatrice dello Stato, non ha dubbi.

Al suprematista che ha aperto il fuoco e compiuto il massacro, alle foto che lo vedono avvolto dalla bandiera confederata, simbolo della schiavitù afroamericana, bisogna rispondere. Ma quando Haley riunisce i parlamentari, quando gli comunica la decisione di rimuovere il vessillo dai palazzi dello Stato, è subito chiaro che Nikki non sarà facile. Siamo pur sempre in South Carolina. E quella bandiera è per molti un emblema identitario, la stoffa che tiene insieme storia e cultura della propria terra, il sangue dei propri antenati.

Haley non ha i voti, e questo è chiaro. Ma lo è pure che sia decisa ad andare fino in fondo, pronta ad investire tutto il suo capitale politico in quell’operazione.

Ai deputati che temono per il loro seggio giura: “Se votate per questo e venite attaccati, verrò nel vostro distretto e farò campagna per voi personalmente“. Molti di loro, tempo dopo, diranno che a convincerli sia stato un altro tipo di argomento. Diranno che ad un certo punto della discussione Nikki Haley abbia raccontato loro di quella famosa mattina, all’alimentari di Columbia: “Quel chiosco è ancora lì, devo passarci ogni volta che vado in aeroporto. E ogni volta che ci passo davanti, provo dolore. Non costringete nessun bambino a passare davanti alla sede dello Stato, a vedere quella bandiera e a provare dolore“.

L’ex senatore dello Stato, Tom Davis, parlando di lei dice: “C’è qualcosa nel suo atteggiamento, nella sua sicurezza, nella sua capacità di comunicare. C’è qualcosa che si percepisce in lei. Sembra banale dirlo, ma Nikki ha ‘qualcosa‘, qualunque cosa sia“. Non provate a chiedergli di definirlo meglio: “Non si può ricondurre a una serie di politiche o di idee. Idee e politiche, quelle sì che entusiasmano me e voi. Ma so riconoscere un talento politico quando lo vedo. E Nikki ha la capacità di valutare una situazione e di sfruttarla. Credo che questa sia una leadership“.

Qualche sera fa, al terzo dibattito tra i principali candidati alle primarie Repubblicane, l’estremista Vivek Ramaswamy ha giocato sporco, violando una delle poche regole non scritte della politica e dello scontro tra adulti: scontrarsi a viso aperto, ma lasciare da parte i figli. È successo quando l’imprenditore ha chiamato in causa Haley per aver criticato il suo utilizzo di TikTok, negli USA in particolare vissuto come cavallo di Troia del Partito Comunista Cinese. “Sua figlia ha usato l’app per molto tempo“, ha attaccato Ramaswamy, “quindi forse è meglio che ti occupi prima della tua famiglia!“. Dagli occhi di Haley sono partite delle saette: “Lascia mia figlia fuori dalla tua bocca!“, ha risposto Nikki mentre il pubblico sommergeva di “buu” il suo rivale. Non contenta, alzando gli occhi al cielo, ha dato voce alla rabbia che le montava in petto: “Sei solo feccia“.

Ecco un commento che il suo vecchio portavoce, Rob Godfrey, avrebbe forse bollato come troppo istintivo. Anni fa spiegò: “Nikki è animata dall’istinto e molte volte, quando è sul palco o in un certo ambiente e ha voglia di dire qualcosa, l’emozione prende il sopravvento e si perde nel momento. Può essere una comunicatrice straordinaria, grazie al suo talento naturale. Ma non accetta molto bene di essere allenata“.

Eppure è anche grazie a risposte simili che l’America sta iniziando ad innamorarsi di lei, quasi senza accorgersene. O forse sì. Dallo scorso agosto, secondo i sondaggi, Haley ha raddoppiato i suoi consensi nel Partito Repubblicano. E in New Hampshire, il primo Stato al voto secondo il calendario GOP, ha già scalzato Ron DeSantis dalla seconda piazza. Certo, i punti di distacco da Trump sono ancora più di 30. E la partita non c’è, perchè The Donald per il momento ha deciso che non vale la pena giocarla. Ma fate attenzione: Nikki Haley è la donna che non ha mai perso un’elezione.

La strada per battere Trump. La sfida diretta a Vladimir Putin. La cometa di Hal(l)ey

La sua strada verso la nomination è lastricata di “se“. Il primo dice questo: l’obiettivo è confermarsi medaglia d’argento nel caucus dell’Iowa, e poi godere del fattore campo nel suo South Carolina. Dovesse riuscire nell’impresa, Trump sarebbe costretto a prestarle attenzione, legittimando i sogni di quel mondo repubblicano che spera sempre di trovargli un’alternativa. Certo, resterebbe da convincere la base GOP che ancora guarda all’ex presidente come all’unico candidato su piazza capace di rappresentarne i sentimenti. Ma anche su questo fronte qualcosa si muove.

Poche settimane fa, nel corso di un incontro con gli elettori, in New Hampshire, un uomo di nome Ted Johnson si è alzato in piedi e ha annunciato che l’America è sull’orlo di una guerra civile. Poi ha guardato Haley e le ha chiesto: “Allora come posso tornare a quel giorno, negli anni Ottanta, quando ero felice, correvo pe…

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