Novembre 14, 2023

Retroscena Vladimir Putin: Cameron, Inferno e ritorno. I “quasi amici”, la rottura drammatica sulla Siria e lo scontro feroce sulla Crimea

Chi ha visto Putin vs the West, straordinario documentario BBC (e beati gli inglesi, che non vivono di solo talk), sa bene che ad un certo punto il rapporto tra David Cameron e Vladimir Putin è sembrato davvero poterlo cambiare, il corso della Storia.

Per capire, bisogna portare indietro le lancette, tornare a più di 10 anni fa, cercare disperatamente un biglietto per le Olimpiadi di Londra. Se abbastanza fortunati, prendere posto in un’arena stracolma di gente. E godersi lo spettacolo. Riconoscete qualcuno?

Il colosso russo Khaibulaev sfida il mongolo Naidan per la medaglia d’oro nel concorso di Judo, categoria -100kg. Sono i due più forti lottatori al mondo, e sono pronti a darsi battaglia, a lasciare tutto ciò che hanno sul tatami, per inseguire il sogno di una vita. Pochi metri più in là, il primo ministro inglese e il presidente russo osservano la scena visibilmente interessati.

La passione di Vladimir Putin per l’arte marziale è nota ai quattro angoli del globo. Si capisce che sia esaltato all’idea di assistere dal vivo ad uno degli incontri più importanti di sempre. Ma che nell’aria ci sia qualcosa di magico, ben oltre l’emozione dello sport, è altrettanto chiaro.

Putin non sta nella pelle. Sulla sedia si agita di continuo, grazie all’interprete scambia commenti di natura tecnica con Cameron, e ad un certo punto si libera pure della giacca d’ordinanza.

L’inglese non è insensibile all’eccitazione del momento, figlia dello scontro che va in scena poco lontano, certo. Ma pure di ciò che accade accanto a lui: “Fu davvero affascinante perché il giudice chiamò il risultato in un modo, e Putin si girò verso di me e disse: ‘Penso che abbia torto’. All’improvviso il giudice venne corretto dagli altri giudici e venne fuori che Putin aveva ragione, e che di judo ne sapeva di più della persona che stava arbitrando il match“.

L’apoteosi è dietro l’angolo: il lottatore mongolo è menomato. In semifinale ha rimediato un infortunio grave, sta lottando di fatto senza il legamento crociato anteriore del ginocchio. E in queste condizioni non può competere a lungo contro la potenza debordante del rivale. Khaibulaev non si lascia intenerire: è suo l’ippon decisivo, quello che regala alla Russia la medaglia d’oro e al pubblico presente un boato che non si dimentica.

Cameron, a quel punto, invita Putin a farsi avanti. Deve complimentarsi con il suo connazionale, gli dice. “No, non posso farlo“, si schermisce il presidente. “No, dico sul serio“, insiste Cameron, “dovresti andare a congratularti con lui“. L’inquilino del Cremlino è felice di cedere.

Adesso abbraccia il daghestano Khaibulaev, nuovo eroe nazionale, gli prende il viso tra le mani, lo ringrazia: ha regalato alla Madre Russia tanto onore.

Racconterà Cameron: “Più tardi, quella sera, Putin mi telefonò dal suo aereo per dirmi di quanto era stato felice di venire alle Olimpiadi, di quanto avesse significato per lui, di quanto volesse avere delle relazioni positive“. Cameron e il suo staff ci credono. Sì, perchè no? Putin per una volta sembra sincero.

È così che si fa strada la convinzione che un nuovo capitolo con Mosca si possa aprire, che il suo rapporto “speciale” con il presidente russo possa aiutare, ora che in Siria la situazione pare sul punto di precipitare.

In effetti sono passati solo pochi mesi da quel magico pomeriggio londinese. E adesso è Putin a ricambiare l’invito, ad ospitare Cameron nella sua residenza di Sochi.

Che partano da posizioni distanti è comprensibile: appartengono pur sempre a metà campo differenti.

Così è Putin a stabilire le regole d’ingaggio: “Tu pensi che io sia troppo a sostegno di Assad, dice a Cameron, “io penso che la tua politica di sostegno all’opposizione siriana significhi che stai sostenendo gli estremisti di Al-Nusra“. Ma l’inglese replica: “No, la nostra politica è creare un governo provvisorio con cui allearci per poi estromettere Al-Nusra e tutti gli estremisti islamici e i terroristi che ci minacciano. Io voglio distruggere Al-Nusra“. Negli occhi di Putin si coglie un guizzo: “David, ora stai parlando la mia lingua“. Cameron non si tira indietro: “Ok, creeremo un processo politico: tu sarai sul palcoscenico mondiale a dettare ciò che accade“.

L’idea è quella di tenere una conferenza internazionale, magari proprio a Mosca, e con essa sancire la fine del regime di Bashar al-Assad, e del conflitto che sta dilaniando la popolazione siriana. Sembra tutto perfetto. Al punto che dopo il pranzo ufficiale è Putin a sentirsi così a suo agio da violare ogni protocollo.

Nessuno se lo aspetta, e nessuno (almeno tra gli inglesi) sa cos’abbia in mente, ma il presidente russo afferra Cameron e lo spinge a bordo di una jeep. Poi inforca gli occhiali da sole, si mette al volante e comincia a guidare a rotta di collo, seminando pure la sicurezza. Ad attenderli, per un volo tra le montagne del Caucaso, c’è un elicottero.

A colui che sembra ormai considerare alla stregua di un amico, Putin mostra orgoglioso tutto il lavoro svolto dal suo Paese in vista dei Giochi Olimpici Invernali, in programma da lì a pochi mesi proprio a Sochi. Forse immagina di ricambiare l’invito di Londra, forse spera di regalare a Cameron un’emozione almeno vicina a quella provata grazie a quel famoso incontro di judo.

Quando finalmente atterrano in prossimità dello Stadio olimpico, hanno i sorrisi stampati sul volto. Chissà se pure per il sospiro di sollievo tirato dai servizi di sicurezza. Anni dopo David Cameron commenterà: “Forse, per un momento, hanno pensato che fossi stato rapito“.

Ma la politica internazionale e la mente umana sono così strane.

Quando Putin arriva al G8 di Londra, nel giugno del 2013, da quel volo in elicottero è trascorso solo un mese. Eppure a vederli insieme, David e Vladimir, sembra passato un secolo.

In Occidente, da un po’ di tempo a questa parte, si moltiplicano le accuse nei confronti di Assad. Il fatto che i suoi soldati conducano attacchi con armi chimiche appare ormai una certezza. E gli inviti ad intervenire militarmente si rinnovano di giorno in giorno. Putin non apprezza. Cameron e la sua squadra accolgono il presidente russo con tutti gli onori. Lo portano al piano di sopra, nello studio che fu di Margaret Thatcher. Osservando il suo ritratto, il russo commenta brevemente: “Oh, era davvero una Lady di Ferro“.

Poi si entra nel vivo del negoziato. È Cameron a spiegare che “Se armi chimiche vengono utilizzate in Siria, e noi abbiamo le prove che iniziano ad essere usate, il mondo non può stare a guardare“. Ma Putin ribatte: “Quali sono queste prove? Non hanno alcun valore. Noi non abbiamo dimenticato l’Iraq. Non abbiamo dimenticato Colin Powell alle Nazioni Unite“.

È poco dopo questa frase che John Casson, consigliere per la politica estera di Cameron, coglie il momento di nervosismo di Putin: “Sembrava aver perso la pazienza“.

Tira fuori il suo diario, e annota tutto ciò che vede.

Putin e i sussurri nella studio di Margareth Thatcher. Obama e la trappola di San Pietroburgo. Il battibecco con Cameron alle due di notte, la fine del rapporto speciale. La telefonata feroce dopo l’invasione della Crimea. L’errore drammatico del Consiglio Europeo di emergenza e le accuse di Hollande a Renzi

A voce molto bassa. Putin dice: ‘So che siete un grande Paese con una grande storia. E tutti voi pensate che io non sono un democratico come voi. Non voglio litigare con te. Sono un ex agente del Kgb, io sono malvagio e spaventoso, con artigli e zanne, e tu sei così ben educato e così ben istruito. Ma ricordi Abu Ghraib, David? Hai visto quelle immagini? Era medievale ciò che è successo lì. Per ottenere ciò che volete in Siria, dovrà essere di nuovo lo stesso‘”.

È il 21 agosto quando la famosa “linea rossa” tracciata da Barack Obama, quella per cui un attacco con armi chimiche avrebbe comportato una risposta militare americana, viene oltrepassata. Cameron quel giorno è in Cornovaglia, nella casa al mare dove va in vacanza con la famiglia ogni anno, quando viene trafitto al cuore dalle immagini dei piccoli siriani preda delle convulsioni.

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