Novembre 30, 2023

A cena con Henry Kissinger

Il 2 novembre 1972, Henry Kissinger – nato “Heinz” da famiglia di ebrei tedeschi in fuga poco prima della Notte dei Cristalli – accoglie nel suo studio alla Casa Bianca una giornalista italiana di fama: si chiama Oriana Fallaci.

È raro che il primo consigliere del presidente Nixon conceda un’intervista. E a dire il vero non ha ancora sciolto la sua riserva. Ma un monologo lungo 25 minuti della toscana ottiene i suoi effetti. In quel momento, Kissinger non sa ancora che giudicherà quella conversazione “la cosa più stupida della mia vita“.

Eppure è nel corso di quella “insopportabile ora con lui” che Oriana Fallaci riesce a cristallizzare più di un tratto del carattere di Kissinger, inafferrabile fuoriclasse della politica internazionale.

Forse è proprio questo strappo alla regola a turbare Kissinger. L’aver ceduto chissà perché e chissà per come alla tentazione di collaborare alla risoluzione dell’enigma di sé.

Perché quando Oriana Fallaci si interroga sul perché della sua popolarità, sulle ragioni che portino un “semplice” consigliere ad essere tenuto in conto più di un presidente americano in carica, e quando chiede al diretto interessato se abbia una sua tesi al riguardo, Kissinger inizialmente si ritrae. È naturalmente restìo a svelare la formula del suo successo.

Se ho una tesi? Sì, ma non gliela dirò. Perché non coincide con la tesi dei più“, si difende Kissinger. “La tesi dell’intelligenza ad esempio. L’intelligenza non è poi così importante nell’esercizio del potere e, spesso, addirittura non serve. Allo stesso modo di un capo di Stato, un tipo che fa il mio mestiere non ha bisogno d’essere troppo intelligente. La mia tesi è completamente diversa ma, le ripeto, non gliela dirò. Perché dovrei, finché sono nel mezzo del mio lavoro? Mi dica piuttosto la sua. Sono certo che anche lei ha una tesi sui motivi della mia popolarità“.

È evidente che Kissinger sia incuriosito. Forse è proprio merito di quella traccia di ostilità che Oriana Fallaci non fa nulla per nascondere al suo interlocutore: “Suppongo che alla radice di tutto vi sia il successo. Voglio dire: come a un giocatore di scacchi, le sono andate bene due o tre mosse. La Cina anzitutto. Alla gente piace chi gioca a scacchi e si mangia il re“.

Ed è qui che per la prima volta Henry Kissinger cede, si tradisce, scivola su un peccato di vanità: “Sì, la Cina è stata un elemento importantissimo nella meccanica del mio successo. E tuttavia il punto principale non è quello. Il punto principale…Ma sì, glielo dirò. Tanto che me ne importa? Il punto principale nasce dal fatto che io abbia sempre agito da solo. Agli americani ciò piace immensamente. Agli americani piace il cowboy che guida la carovana andando avanti da solo sul suo cavallo, il cowboy che entra tutto solo nella città, nel villaggio, col suo cavallo e basta. Magari senza neanche una rivoltella perché lui non spara. Lui agisce e basta: dirigendosi nel posto giusto al momento giusto. Insomma, un western“.

Ma c’è dell’altro, nella strana conversazione che va in scena in quello “studio elegante pieno di libri, telefoni, fogli, quadri astratti, fotografie di Nixon“. C’è che Nixon, il presidente, non fa che interrompere il consigliere e la reporter.

Ogni dieci minuti lo squillo di un telefono spezza una conversazione, taglia il filo di un pensiero. E dall’altra parte della cornetta l’uomo più potente del Pianeta invoca l’aiuto del suo uomo, chiede che trovi il tempo, fra una risposta e l’altra, per passare un attimo dallo Studio Ovale, per gestire questa o quell’altra crisi.

Non che sia una novità assoluta. Per capire, bisogna riportare indietro le lancette di qualche anno, e mostrare alla sicurezza un biglietto d’invito per la cena di Stato che va in scena al St. Francis Hotel di San Francisco, il preferito del presidente Nixon, in onore dell’allora leader sudcoreano Chung Hee Park.

Ai 238 commensali presenti, Nixon ricorda con orgoglio che i vini, i fiori e persino la maggior parte degli ospiti sono prodotti della “sua” California, ma almeno un paio non sembrano così interessati ai suoi discorsi. Seduti uno accanto all’altro, Henry Kissinger e la diva Zsa Zsa Gabor, attrice di origini ungheresi, grande fascino, tra le prime ad essere “famosa per essere famosa“, sono impegnati in una fitta conversazione.

È stato proprio Nixon ad apparecchiare la disposizione dei tavoli. E Zsa Zsa, di cui è intimo amico, finisce per ritrovarsi seduta tra “un principe tedesco (non ricordo quale) e un uomo basso di cui non ho capito il nome quando ci hanno presentati“. Eppure quell’uomo “ha una mente veloce ed incisiva“, capace di rendere piacevole la conversazione, anche dinanzi a domande impertinenti. Curiosa e sfacciata, l’attrice domanda al suo vicino tedesco di origini meno nobili: “Quanto pensa che guadagni il Presidente?“. Si dà il caso che l’altro sia informato: “Guadagna esattamente 200mila dollari l’anno“. Zsa Zsa risponde con aria sprezzante: “Io guadagno di più!“. E l’altro, soffocando la risata: “Sì, ma pensi ai benefici collaterali“.

Richard Nixon non può resistere più di tanto. Quando gli ospiti si mescolano tra loro, quando il protocollo gli concede una passeggiata tra i tavoli, la curiosità si legge chiaramente sul suo volto. “Allora, Zsa Zsa“, chiede alla sua ospite prendendola da parte, “ti piace Henry Kissinger?“.

La diva fatica a realizzare di aver trascorso la serata in compagnia del Consigliere per la sicurezza nazionale USA. Ma l’indomani è il presidente in persona ad insistere, a telefonare alla sua amica e a domandare: “Henry è davvero così intelligente come io penso che sia?“.

Sulle prime la Gabor non sa cosa rispondere. Cosa vuole da lei l’inquilino della Casa Bianca? Sta testando la sua amicizia o le capacità del suo consigliere? Tutto si chiarisce poco dopo, quando a comporre il suo numero di telefono è Pat Nixon, la First Lady. Da un momento all’altro è finalmente tutto limpido: sta proponendole di uscire con Henry Kissinger.

È al termine di una cena all’interno del lussuoso Bistro Garden di Beverly Hills, ristorante amatissimo da una certa Liz Taylor, che fa capolino una delle dinamiche immortalate quel giorno alla Casa Bianca con Oriana Fallaci.

Dopo avere riaccompagnato a casa Zsa Zsa, Kissinger chiede il permesso di entrare a bere qualcosa. La donna acconsente. I due continuano a conversare, fino a quando – cito dalla biografia della Gabor – “le cose diventano più personali“. Kissinger lancia segnali inequivocabili. E questi dicono della volontà di un “approccio amoroso” nei confronti dell’attrice. Ma proprio sul più bello, quando gli sforzi di un’intera serata sono prossimi ad essere valutati dall’insindacabile responso di Zsa Zsa, ad interrompere la magia arriva un “bip-bip“.

Non puoi ignorarlo in alcun modo: è fastidioso, insistente, allarmante: “Bip-bip!“. È il cercapersone di Kissinger. A farlo suonare, dalla Western White House di San Clemente, in California, è proprio Richard Nixon.

Kissinger non trattiene il fiato. Non chiede un momento per completare l’opera. Alla richiesta del presidente di raggiungerlo immediatamente, si pone sull’attenti. Perché il Paese chiama. E all’America che lo ha accolto da ragazzo, che lo ha fatto sentire uno dei suoi, non sa dire di no. Eccolo, Henry Kissinger in purezza. Un servitore dello Stato, dei suoi interessi.

Henry Kissinger. La fine di quella serata e l’ultimo scherzo del destino

Adesso monta sulla berlina nera, sfreccia lungo il vialetto della padrona di casa. Ed il lato comico della storia vuole che il cancello elettronico della residenza presenti qualche piccolo problema di funzionamento. Zsa Zsa, che sta assistendo alla rocambolesca uscita di scena del suo ospite, interviene in aiuto di Henry per consentirgli di uscire dall’auto e quantificare i danni dell’impatto. Sulle prime rimane sorpresa, forse delusa, quando osserva la preoccupazione di Kissinger per le condizioni dell’automobile. Non lo faceva uomo legato a beni materiali. Subito dopo capisce: “Oh mio Dio“, esclama l’uomo, “questa è l’auto del presidente Nixon“.

Per i romantici: tra Zsa Zsa ed Henry ci sarà spazio per un secondo appuntamento. O forse no.

A favorirlo è lo spirito d’iniziativa dell’attrice. La Gabor ha l’abitudine di inviare fiori agli uomini, le piace fare loro dei regali. Così ordina un bouquet, dispone che …

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