Dicembre 9, 2023

RETROSCENA. Come Mario Draghi e Kaja Kallas impedirono la riapertura a Putin. Quel “no” al piano Macron-Merkel al Consiglio Europeo

A Fort de Brégançon, residenza estiva dei capi di Stato francesi, Brigitte Macron attende in cima ad una piccola scalinata che l’ospite del giorno le consegni un mazzo di fiori. Vladimir Putin è sorridente, forse addirittura felice di essere accolto con tutti gli onori dal giovane presidente francese e dalla sua consorte.

Al momento di porgere il suo bel bouquet alla première dame di Francia, sul suo viso si coglie un leggero segno di imbarazzo. Ma il gioco di seduzione politica che nell’agosto 2019 va in scena al cospetto della fortezza amatissima da Charles de Gaulle è ancora alle prime battute.

Putin si guarda intorno, apparentemente estasiato dalla bellezza del paesaggio. “Avete una carnagione stupenda“, dice riferendosi all’abbronzatura perfetta della coppia presidenzale.

Non c’è dubbio che sia consapevole della portata della posta in palio. Emmanuel Macron in persona non ha resistito alla tentazione di definire la sua operazione una “iniziativa di fiducia e sicurezza“. Espressione altisonante, per nulla impegnata a nascondere il vero obiettivo di quell’incontro: un reset nei rapporti tra Francia (Europa) e Russia.

D’altronde non è la prima volta che Macron si mostra interessato a costruire un ponte tra Parigi e Mosca. Sono trascorse appena tre settimane dalla sua vittoria alle elezioni presidenziali. E a Versailles, il 29 maggio del 2017, Vladimir Putin ascolta con forte interesse le parole del leader che a pochi passi da lui spiega di ricercare “una nuova architettura di sicurezza per l’Europa“.

Se a muoverlo sia quel senso di “grandeur” che anima un po’ tutti i presidenti francesi oppure la pragmatica convinzione che “ci piaccia o no, la Russia non sparirà dalla carta geografica“, nessuno può dirlo. Ma chi assiste ai negoziati, alle telefonate, agli scambi diplomatici di quelle settimane, racconta a Sylvie Kauffmann, decana del giornalismo internazionale per Le Monde, autrice di “Les aveuglés“, Gli accecati, come sia Macron in persona a percepire l’esistenza di un livello di reciproca comprensione tra sé e l’inquilino del Cremlino.

All’originario di Amiens piace da sempre giocare da battitore libero. Ciò significa pure, nel luglio 2018, riporre nel cassetto tutte le tensioni geopolitiche che hanno portato negli ultimi anni all’isolamento di Mosca, incluso il recente avvelenamento in Inghilterra dell’agente segreto Sergej Skripal. Londra è certa di aver rintracciato le impronte digitali del Cremlino sull’attacco. Ed a porte chiuse, nell’esecutivo di Theresa May, c’è anche chi arriva ad evocare l’attivazione dell’articolo 5 della NATO.

Sono momenti di grande conflittualità. Eppure come si fa non a seguire i “Bleus” fino in Russia? C’è un Mondiale da vincere grazie al talento di Kylian Mbappé: calamita troppo forte per pensare di opporsi al richiamo della foresta.

Dopotutto il piano di Macron non è segreto. Oggi come ieri, in Costa Azzurra come a Versailles, la Francia lavora per avvicinare due sponde ormai lontane. Tuttavia è lo stesso Putin, nei colloqui con Macron, a far notare la presenza di un elefante nella stanza. Il punto è che l’Eliseo porta avanti questa operazione in solitaria, senza alcun tipo di coordinamento con i partner tradizionali di Parigi: “Riuscirai a convincere gli altri europei?“, chiede il presidente russo.

Sono proprio gli alleati di sempre, i tedeschi, i più scettici. Temono che smarcarsi dagli Stati Uniti sul tema della sicurezza sia il regalo più bramato da Putin, che già accarezza la prospettiva di dividere l’Alleanza. I Paesi dell’Est Europa la prenderanno male, pensano a Berlino. Crederanno di trovarsi di fronte alla solita iniziativa franco-tedesca orchestrata alle loro spalle, con la Francia in prima linea e la Germania intenta a manovrare dietro le quinte con Mosca. Ma i dubbi non sono solo degli amici di fuori. Anche il personale diplomatico del Quai d’Orsay storce il naso. E all’Eliseo non la prendono bene.

A fine agosto, quando gli ambasciatori si ritrovano per la loro riunione annuale, Macron sbotta. Sembra quasi di sentire Donald Trump quando evoca lo spettro di uno “Stato profondo” impegnato nel tentativo di “minare la credibilità delle parole del Presidente“, di sabotare il suo progetto. Sono parole forti, che feriscono l’orgoglio dei diplomatici d’Oltralpe, e che approfondiscono la frattura tra l’Eliseo e il Quai d’Orsay. Ma la strada è ormai tracciata. Il ministro degli Esteri francese Le Drian e quello della Difesa Parly sono in volo verso Mosca, pronti a riallacciare i contatti con gli omologhi russi Lavrov e Shoigu dopo averli sospesi in seguito all’annessione della Crimea.

Tutto sembra procedere per il meglio. La vodka annaffia un generoso pranzo cui fanno da sfondo quadri raffiguranti battute di caccia di epoca zarista. Ma è quando il programma del giorno viene stravolto che i primi campanelli d’allarme cominciano a risuonare.

Nell’organizzazione della visita, i russi hanno lasciato intendere chiaramente che Le Drian e Parly sarebbero stati ricevuti da Vladimir Putin nel pomeriggio. Così non è. E i ministri francesi, di rientro a Parigi, sono costretti ad accontentarsi della promessa di nuovi contatti nelle settimane a venire.

I mesi passano, ma al di là di una cortesia di facciata, i progressi a livello negoziale non sono quelli sperati. Tuttavia il 10 dicembre 2019, quando per la prma volta da anni si riunisce a Parigi un vertice “formato Normandia“, la speranza di avvicinare una soluzione al conflitto in Donbass è concreta.

A Parigi, oltre a Macron e Putin, sono attesi Angela Merkel e il nuovo arrivato in quel di Kyiv. Questo presidente è un ex comico privo di qualsivoglia esperienza internazionale. Nessuno scommetterebbe un centesimo su di lui: il suo nome è Volodymyr Zelensky. Ancora non può saperlo, ma la Storia ha in serbo per lui un posto da attore protagonista.

Cosa Vladimir Putin pensi a proposito del nuovo leader ucraino è chiaro fin da subito: basti dire che il Cremlino ha persino rifiutato di congratularsi con lui dopo il successo alle ultime elezioni. Ma in realtà sono in tanti, in ambito diplomatico e non, a temere che al tavolo del negoziato il presidente russo sia destinato a fare del più giovane interlocutore un sol boccone: “Se lo mangerà a colazione“, sintetizza qualcuno prima dell’inizio dell’incontro. Ma Zelensky, al primo e finora ultimo incontro della sua vita con Vladimir Putin, sorprende per disinvoltura e coraggio.

Se la base di partenza sono gli Accordi di Minsk siglati nel 2015 da Poroshenko, spiega, allora è necessario intendersi. Quella era un’Ucraina con le spalle al muro, militarmente ad un passo dalla sconfitta, con i russi pronti a sfondare nel Donbass. Anni di combattimenti, di addestramento sotto la guida di soldati inglesi ed americani, hanno messo Kyiv nella condizione di pretendere un’intesa più equa. “Vedo il testo” degli accordi, dice Zelensky, “ma se continuiamo così, ci vorranno decenni. Ed io non ho il lusso del tempo“.

Chissà se il presidente russo la vive come una stoccata personale. Ma è un fatto che, seduto poco distante, Vladimir Putin sia a dir poco infuriato per la piega presa dai negoziati. “Ascolta, ti dirò la verità“, dice l’uomo di San Pietroburgo rivolto ad Angela Merkel. Ma la Cancelliera lo interrompe, ostentando ingenuità: “Ma Vladimir, spero che tu dica sempre la verità!“. E lui: “Angela, tutti mentono. Io mento, tu menti, Emmanuel mente, persino il signor Zelensky mentirà, è normale“.

Chi non riesce a mascherare il suo nervosismo è Sergej Lavrov: il ministro degli Esteri russo è l’uomo che ha garantito al presidente il buon esito delle trattative. Sul volo di ritorno dovrà fornire spiegazioni per il fatto che Zelensky non sia disponibile ad accettare le condizioni di Mosca.

Dopo circa cinque ore di trattative, l’agognata fine del conflitto non c’è. Gli unici risultati del vertice a lungo preparato da Macron sono l’accordo per uno scambio di prigionieri e la promessa di tornare a parlarsi. Ma il tempo dirà ben altro: non ci sarà un altro incontro.

C’è chi ritiene che l’idea di Putin di invadere l’Ucraina nasca quel giorno, dal fallimento del vertice all’ombra della Tour Eiffel. Ma nel giugno del 2021, quando Joe Biden vola a Ginevra per stringergli la mano, sono in tanti a credere che esistano i presupposti per una pacifica convivenza. “Se mi fido di Putin? Qui non si tratta di una questione di fiducia. Qui si tratta di interesse reciproco“, sintetizza il presidente americano. Ed il russo sembra d’accordo: “Siamo qui per difendere gli interessi dei nostri Paesi, non dobbiamo giurarci amore eterno“.

Eppure è con malcelata amarezza che nelle capitali europee si guarda alla missione di Biden. Macron e Merkel si sentono scavalcati dall’alleato americano. Non solo nessuno li ha coinvolti nonostante l’incontro sia avvenuto sul suolo europeo. Ma gli stessi partner che gridavano al tradimento quando a parlare con Putin erano stati loro, adesso non sollevano neanche un sopracciglio per la visita di Biden.

Chissà se è l’orgoglio a spingere la Cancelliera a rilanciare. O se la voglia di congedarsi strappando un risultato che dia tutto un altro senso alla sua politica estera. Ospitando in Germania il presidente russo per la prima volta dall’inizio della pandemia, Merkel dichiara alla stampa che la Russia sarà uno dei temi all’ordine del giorno del prossimo Consiglio Europeo, dicendosi favorevole a contatti con Mosca. La notizia passa perlopiù inosservata sulla stampa. Ma il piano della Cancelliera, in realtà, è già scattato.

Il piano di Angela Merkel. La mossa a sorpresa della Cancelliera. Lo scontro infuocato al Consiglio Europeo con l’estone Kallas. La frase di Mario Draghi che salva l’onore dell’Europa

Merkel telefona a Macron. Suggerisce che la ripresa del dialogo europeo con Mosca dovrebbe diventare un’iniziativa franco-tedesca, ma si spinge pure oltre: propone di invitare Putin, per la prima volta dall’annessione della Crimea, a prendere parte ad un vertice Russia-Unione Europea. Nella lunga discussione che ne segue, Macron osserva che l’idea di regalare a Putin il palcoscenico di ospite d’onore è un regalo probabilmente troppo generoso. Ma dopo avere spinto per anni, quasi da solo, per riavvicinare Mosca all’Europa è chiaro che non possa essere proprio lui a tirarsi indietro.

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