Dicembre 15, 2023

Israele, la “linea Biden” scuote la Casa Bianca: Sullivan e il colloquio con Netanyahu, le voci su Kamala Harris e la promessa degli USA su Sinwar

Di tutte le storie che ama ripetere, ce n’è una che dice molto di Joe Biden. Nel 1973 ha da poco compiuto 30 anni, è fresco di elezione al Senato. Non è mai stato in Israele. Al suo arrivo in uno Stato Ebraico ancora giovane e molto fragile, ad accoglierlo è Golda Meir.

Sono penetranti gli occhi di questo primo ministro, scavano a fondo, leggono l’anima. Così al termine di una discussione nel suo ufficio, a pochi giorni dallo scoppio della guerra dello Yom Kippur è questa donna carismatica ed esperta a dare voce ai sentimenti di quel giovane democratico del Delaware ancora da sgrezzare. I due sono in piedi, uno di fianco all’altro, pronti a scattare una fotoricordo. Senza guardarlo negli occhi, Golda Meir pronuncia poche parole: “Perché sembra così preoccupato, senatore Biden?“. “Preoccupato?“, risponde l’altro con ironia, rinforzando l’impressione della sua interlocutrice. Ma il primo ministro di Israele non si scompone: “Noi non ci preoccupiamo, senatore. Noi israeliani abbiamo un’arma segreta. Non abbiamo un altro posto dove andare“.

Cinquant’anni più tardi, il senatore è diventato presidente degli Stati Uniti d’America. E nell’ora più buia di tutta la storia israeliana torna con la mente a quella conversazione: “Anche gli Stati Uniti non andranno da nessuna parte. Saremo al vostro fianco“, promette.

Le tensioni all’interno della Casa Bianca per la “linea Biden” su Israele. La protesta del personale diplomatico. La preoccupazione dell’intelligence USA. Il viaggio di Jake Sullivan e le voci su Kamala Harris. Il problema elettorale e la promessa americana su Yahya Sinwar

È da qui che bisogna partire per comprendere l’approccio della Casa Bianca al conflitto in Medio Oriente. Joe Biden è un grande amico di Israele. Lo sarà per sempre. È per questo che dopo il 7 ottobre ha cercato di diventare per Bibi Netanyahu anche un fratello maggiore. Ma conciliare la convinzione nel diritto alla difesa di Israele con la protezione dei civili si è rivelata fino ad ora impresa ardua, quasi impossibile.

Dei cablogrammi inviati alla base dai diplomatici americani in giro per il mondo, e in particolare dalle regioni arabe, si è perso ormai il conto. Quasi tutti restituiscono l’allarme per come sia percepito il sostegno americano ad Israele in questa battaglia esistenziale. Sono proprio questi emissari a mettere in guardia dal rischio – ormai certezza – di perdere “l’opinione pubblica araba per una generazione“. E si aggiungono a coloro che in queste ore hanno vissuto con motivata apprensione una mossa tanto inusuale quanto…

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