Dicembre 17, 2023

Trump, Putin e il mistero del raccoglitore scomparso

Non bastano un buon impermeabile, il bavero alzato e un paio di baffi finti per reclamare il diritto a far parte di una spy-story alla Casa Bianca. Occorre la fortuna (o la maledizione) di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Il coraggio (o la follia) di guardare nel pozzo senza fondo di una trama dall’incredibile potenziale.

Mostrato il badge d’ordinanza al solito agente del Secrete Service, varcato il cancello Northwest della White House, finalmente dentro, la giovane assistente dello staff presidenziale saluterà i suoi colleghi. Da lì a guidare sarà l’istinto, un buon intuito, magari il destino.

Ci sarà tempo per i rimorsi, mai per i rimpianti: forse una vita intera.

Ma intanto eccola, davanti a te, l’occasione messa lì dal fato. Lo sguardo di troppo che indirizza gli eventi, quello che porta a domandarti cosa stia facendo di preciso il tuo capo, proprio adesso, con sotto il braccio quel raccoglitore che sai essere pieno di documenti classificati. Ora fa il suo ingresso in una limousine, si dilegua nell’oscurità di una fredda notte di gennaio. E di quel materiale top secret, di quel raccoglitore, nessuna traccia.

È da anni che i funzionari dell’intelligence americana si interrogano: cos’è accaduto nei convulsi giorni finali della presidenza Trump? Gli 007 capaci di risolvere ogni rebus impattano da tempo su un enigma senza apparente soluzione. E dunque che fine ha fatto il raccoglitore scomparso? E in quali mani sono finiti i segreti sulla Russia di Vladimir Putin e sui suoi agenti in esso contenuti, le informazioni così sensibili da configurare rischi per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dei suoi Alleati NATO?

Le risposte potrebbero non essere così piacevoli.

Chi ha avuto il privilegio di osservarlo da vicino, sostiene che il raccoglitore del mistero fosse spesso in origine la bellezza di 25 centimetri, forte all’incirca di 2700 pagine. Certo molte di più delle 600 revisionate e rese disponibili al pubblico a pochi giorni dall’addio alla Casa Bianca su ordine di Donald Trump in persona. Sembra quasi di vederlo, il tarlo di cui il presidente non riesce a liberarsi, l’ossessione che ferisce il suo ego: l’idea che a farsi strada sia la tesi che domina da anni il dibattito politico interno. E cioè che la sua vittoria su Hillary Clinton, nel 2016, non sia figlia solamente della sua abilità politica, del suo indiscutibile talento nel dire ciò che buona parte del popolo americano ama sentirsi dire. No, più che altro delle indebite interferenze russe, ordinate nientemeno che da Vladimir Putin.

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