Febbraio 5, 2024

Putin vs the West. Ben Wallace e lo scherzo del whisky. Bill Burns e l’incontro segreto col capo dell’intelligence del Cremlino. La notte in cui la NATO pensò di essere sotto attacco

Chiudendosi alle spalle la porta del suo ufficio per l’ultima volta, Ben Wallace è un uomo in pace. Sa di aver fatto il proprio dovere. E forse anche qualcosa di più. Eppure il matrimonio con sua moglie Liza non ha retto: alle pressioni dell’incarico, alle assenze prolungate, ai silenzi, ai pensieri di un lavoro che non può essere come tutti gli altri. Così, salutando la politica, mentre giura di mettere da parte il suo demone – almeno per un po’, Ben – l’ex ministro della Difesa inglese ammette che sì, “aver contribuito a proteggere questo grande Paese” suscita orgoglio, ma “il costo di averlo anteposto alla mia famiglia è qualcosa che mi rattrista molto“. Per anni ha dormito con tre telefoni sul comodino. Ha custodito “segreti, segreti, segreti“. Ma chissà se anche oggi, nelle notti senza sonno, arriva a consolarlo almeno un pensiero: quando la Storia ha bussato alla sua porta, Ben Wallace è stato un inglese.

È lui uno dei primi a comprendere che Vladimir Putin stia tramando qualcosa. Lo suggerisce chiaramente nella lettera privata indirizzata al suo primo ministro, Boris Johnson, molti mesi prima che il Cremlino faccia partire l’ordine di invasione. Wallace chiede di incrementare il sostegno militare per l’Ucraina: è una cautela, una premura, un “non si sa mai“. Ma quando vola a Mosca per incontrare il suo omologo russo, Sergej Shoigu, è consapevole che ad attenderlo troverà una farsa. Le informazioni dell’intelligence britannica, a quel punto, sono fin troppo chiare: è certo che la Russia attaccherà. Non è più questione di “se” ma solo di “quando”. Così se spettacolo dev’essere, allora che sia.

Quando arriva il momento di scambiarsi i rituali doni di cortesia, Wallace consegna fra le mani di Shoigu dell’ottimo whisky di produzione scozzese. È Glenfiddich: chi può avere qualcosa da ridire? Ma il russo non sa ciò che si cela dietro quel nome. No, davvero non può immaginare che nelle telefonate col ministro della Difesa ucraino Oleksji Reznikov, temendo di essere intercettato, Wallace abbia deciso di utilizzare un linguaggio in codice. E che ad ogni tipo di armamento inglese sia ora associata un’apposita marca di whisky. “È stata una sua idea!“, giura oggi col sorriso sulle labbra lo stesso Reznikov, riconoscendo il merito della pensata all’amico Ben.

Dunque, dicevamo, Glenfiddich? Ma certo, sono i missili anticarro NLAW che tanti danni procureranno ai russi sul campo di battaglia. E allora eccolo, lo sfizio che Wallace decide di togliersi in questa trasferta maldigerita: Shoigu lo ha guardato negli occhi, negando spudoratamente qualsivoglia piano di invasione. Ha mentito sapendo di farlo. Ma la rivincita è dolce come un sorso di Glenfiddich: “Gli ho dato una bottiglia di Glenfiddich. Lui non sapeva cosa significasse. Ma lo scherzo era per lui“.

A giugno, quando si presenta a Kyiv, nessuno può dubitare del sostegno inglese. Né del coinvolgimento personale di Ben Wallace. Indossa una delle sue amate “camicie anni Ottanta“, mentre Zelensky lo accoglie in maniche corte. Davanti alla stampa sono soltanto sorrisi e strette di mano, ma dietro le quinte va in scena una dinamica inaspettata. La riunione con il collega Reznikov e con il comandante in capo delle forze armate ucraine, il generale Zaluzhny, ha una durata prevista di 45 minuti. Eppure ne sono passati già 40, e Wallace non ha ancora aperto bocca. A tenere banco è proprio Zaluzhny. La sua lista di richieste in armamenti è apparentemente infinita. Così Wallace sente il bisogno di intervenire: “Guardate – sbotta ad un certo punto – io non sono Amazon, ok?“.

Lorenzo Guerini, da ministro della Difesa italiano, firma cinque pacchetti di aiuti militari per Kyiv. Lui sì che conosce bene le persone sedute a quel tavolo. Reznikov stravede per l’italiano. A lui e a pochissimi altri colleghi (diciamo così: meno delle dita di una mano) regala l’iconico pugnale delle Forze Armate Ucraine. Le telefonate e gli incontri fra i due sono frequenti: servono a rifinire i pacchetti di aiuti in base alle esigenze ucraine e alle disponibilità italiane. Ma accanto alla dimensione professionale si instaura un rapporto di reciproca simpatia che è figlio forse di un altro sentimento: l’empatia, quella provata per l’eroica resistenza ucraina di quei mesi. Così succede che venuto a conoscenza della passione del ministro del governo Draghi, grato per il sostegno assicurato dall’Italia, sia Reznikov a consegnare a Guerini una mazza da baseball personalizzata con apposita scritta inneggiante alla vittoria di Kyiv sull’invasore russo.

E che dire del rapporto con Wallace? Da ministri della Difesa stringono una collaborazione senza precedenti nel campo della sicurezza tra Italia e Regno Unito. Ai tempi del ritiro dall’Afghanistan, poi, si ritrovano dalla stessa parte quando si tratta di manifestare dubbi sul messaggio che l’Occidente invierà al mondo intero levando le tende. È il senno del poi a dargli ragione. Ma è proprio per via di questa vicinanza, di questa conoscenza così approfondita, che oggi Guerini – interpellato dal Blog – è certo di poter affermare: “La frase su Amazon? Fa parte del personaggio Wallace: è molto schietto, aperto, diretto. Ma nessuno, davvero nessuno, può mettere in discussione che sia stato uno dei più importanti sostenitori della difesa di Kyiv“.

Ha ragione. Le parole che Wallace pronuncia in quella riunione a porte chiuse possono sembrare dure in quel momento. E lo sono. Ma suonano adesso come il consiglio scomodo di un buon amico: “Faremo tutto ciò che possiamo per supportarvi, ma dovete spingervi un po’ oltre questo ‘ecco la nostra lista della spesa“.

Che sia un politico di razza lo si intuisce proprio quel giorno. È lui ad anticipare il tema dei mesi a venire: spiega che sì, la guerra di resistenza è nobile, e gli ucraini la combattono non solo per loro, ma per la libertà di tutti, eppure “a volte bisogna convincere i parlamentari americani del Congresso. Bisogna persuadere i politici dubbiosi di altri Paesi che, sapete, ne vale la pena, e che si sta ottenendo qualcosa in cambio“.

Ad un paio di mesi da quell’incontro, nel settembre 2022, quando Vladimir Putin incontra Xi Jinping a Samarcanda, in Uzbekistan, è un altro componente del governo inglese, l’allora ministro degli Esteri, James Cleverly ad avere l’intuizione giusta. Ha ascoltato con attenzione i commenti pubblici pronunciati dal presidente russo. Ma c’è un passaggo in particolare a colpire la sua attenzione. È quello in cui Putin dichiara di apprezzare molto la “posizione equilibrata dei nostri amici cinesi sulla crisi ucraina“. Per poi aggiungere: “Comprendiamo le vostre preoccupazioni“. È un flash. Cleverly ricorda oggi di aver pensato: “Preoccupazioni. Quella parola mi ha colpito molto. Questo è ciò che dice chi, in una conversazione privata, ha ricevuto un sacco di lamentele. Quella è la parola diplomatica che sta per critiche. Preoccupazioni“.

Che Putin senta vacillare le proprie certezze lo si capisce già al ritorno in patria. Non parla apertamente di conflitto nucleare, ma è chiaro a tutti cos’abbia in mente quando giura: “Se l’integrità territoriale del nostro Paese viene minacciata, useremo senza dubbio tutti i mezzi a disposizione per proteggere la Russia e il nostro popolo“. Mezzo secondo di pausa scenica, per poi aggiungere: “Questo non è un bluff“.

Che lo sia oppure no, cambia poco. Di lì a qualche giorno, al Palazzo di Vetro di New York, è chiaro che abbia raggiunto il suo scopo. Molti dei partecipanti all’annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite non fanno più nulla per nascondere l’ansia che d’un tratto sembra assalirli. Sì, il mondo è preoccupato dalla piega pesa dagli eventi. La questione non è più soltanto ucraina, ma internazionale. Li riguarda da vicino.

Ma poche armi sanno essere affilate come quella della comunicazione durante una guerra. E l’Occidente comprende che è arrivato il momento di rispondere a Vladimir Putin. Non con minacce da bullo, ma con l’astuzia, con la politica. A difendere la posizione di Mosca, durante la sessione di lavoro all’ONU, è un esperto diplomatico come Sergej Lavrov. Tocca a lui ripetere il copione redatto dal Cremlino: quello di una Russia accerchiata, minacciata dalla NATO, costretta ad intervenire in Ucraina per difendere la propria gente dal regime nazista di stanza a Kyiv.

Barbara Woodward, ambasciatrice britannica presso le Nazioni Unite, è testimone diretta di quanto accade in quegli istanti: “Stavamo tutti guardando ciò che stava facendo il ministro degli Esteri Lavrov. Potevi vederlo mentre iniziava a raccogliere i suoi fogli, certamente non stava prestando attenzione“. Ad avere il lampo di genio è un assistente del ministro Cleverly. È lui ad allungargli un appunto: “Sembra stia per andarsene, se lo fa denuncialo“. E Lavrov lo fa. Cleverly prende la palla al balzo: “Ha lasciato la stanza. Non sono sorpreso. Non penso che il signor Lavrov voglia sentire la condanna unanime di questo Consiglio“.

Ma uno schiaffo pubblico non cambia la sostanza di una guerra in cui Putin – al netto della controffensiva – mantiene il controllo di circa il 20% del territorio ucraino. Il Cremlino consolida la sua presa organizzando referendum farsa in quattro regioni ucraine – Kherson, Donetsk, Lugansk e Zaporizhzhia – dichiarandone l’annessione. Gli ucraini rispondono danneggiando il ponte di Crimea, ma Putin replica alla sua maniera: con il più massiccio attacco missilistico dall’inizio della guerra. È così, sullo sfondo di un conflitto che promette di diventare ogni giorno più pericoloso, che Ben Wallace riceve una telefonata molto particolare. Il Segretario di Stato per la difesa del Regno Unito è in vacanza ad Anglesey, isola che affaccia sul Mare d’Irlanda, quando il suo staff lo informa: “Il ministro Shoigu vuole parlarti“.

No, non ha scoperto lo scherzo del whisky.

La telefonata Wallace-Shoigu. Bill Burns e l’incontro segreto col capo dell’intelligence del Cremlino. La notte in cui la NATO pensò di essere sotto attacco

La prima mossa di Wallace è quella di inviare un messaggio alla sua controparte francese. Cerca una conferma, e la trova. Shoigu ha composto anche il prefisso di Parigi. Wallace raggiunge in elicottero una base militare. Ad attenderlo c’è un interprete, ed è a lui che spetta tradurre in inglese il messaggio dell’omologo russo: “L’Ucraina“, dice, “sta pensando di usare una bomba sporca“, un ordigno contenente materiale radioattivo.

Shoigu sostiene di essere in possesso di informazioni in grado di provare quanto afferma. Wallace oggi non sa dire se “lo credesse genuinamente perché aveva un po’ di roba dell’intelligence o perché si adattava alla loro narrazione e questo faceva parte di una loro campagna false flag. Non puoi mai esserne certo”. Ma aggiunge: “Noi sapevamo che non era vero. Però lo abbiamo preso sul serio, capisci? Se Shoigu vuole telefonarmi, io prenderò sempre la sua chiamata“.

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