Febbraio 12, 2024

La memoria del Presidente. Tutti i retroscena sull’incontro tra Biden e il procuratore che ha cambiato la corsa alla Casa Bianca

È la mattina dell’8 ottobre. E le parole che Bibi Netanyahu confida a Joe Biden, prima di riagganciare, non lasciano sereno il presidente degli Stati Uniti. Il mondo è ancora sotto shock per l’orrore appena perpetrato dai terroristi di Hamas, ma l’America già si interroga sul ruolo che dovrà svolgere nella guerra in Medio Oriente alle porte.

Ciò che più sconvolge la Casa Bianca è il grado di fragilità che Israele ha mostrato. Se Hamas è riuscito a bucarne le difese con così tanta scioltezza, allora cosa accadrebbe qualora l’Iran, avversario ben più temibile, decidesse ora di buttare un occhio fin dentro lo strapiombo, se scegliesse di approfittare del momento di massima debolezza del nemico per infliggere a Israele una sconfitta strategica?

È con questi pensieri ad affollare la mente, ad appesantire il cuore, che il presidente americano si avvia verso la rampa di scale che conduce fino alla Map Room. Non c’è angolo della Casa Bianca che non sia intriso di Storia. Qui il presidente Roosevelt seguiva con i suoi assistenti gli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale, srotolando mappe, carteggi, scenari. Ma adesso in quella stessa stanza lo staff presidenziale ha trasportato per l’occasione tavoli lunghi e spaziosi. Serviranno ad ospitare una riunione importante, a gestire e maneggiare informazioni sensibili, decisive per questo Presidente. E forse pure il prossimo.

Ad attenderlo c’è già il procuratore speciale Robert Hur. È uno stimato avvocato, la sua attività nel Maryland gli è valsa la chiamata del Dipartimento di Giustizia durante l’amministrazione Trump. Sì, è anche un Repubblicano dichiarato nei registri elettorali, ma quando Merrick Garland, attuale Guardasigilli, lo nomina per indagare sulla gestione di documenti classificati da parte di Joe Biden, nessuno dubita del fatto che farà il suo dovere.

A differenza di ciò che accade abitualmente, il presidente si presenta quasi in orario. Seduto accanto a lui, sulla destra, c’è il suo avvocato personale, Bob Bauer, a sinistra il consigliere presidenziale Ed Siskel. Sapranno parare i colpi provenienti da Robert Hur?

Il presidente si è preparato a lungo per questa audizione, è consapevole della sua importanza. Il suo team ha ipotizzato alcune delle possibili domande del procuratore: “Presidente Biden, dove ha comprato questo schedario?“, “Perché questi scatoloni sono stati imballati in questo modo?” e “Perché ha ritenuto di poter conservare questi appunti?“. Ma forse è proprio questo “allenamento” a tradire Joe Biden. Eccolo, il primo errore in cui incappa la squadra presidenziale, l’inciampo tale da far dubitare della qualità degli assistenti di cui Biden si circonda. Da giorni i componenti del team della Casa Bianca sono bersaglio perfetto di accuse di dilettantismo e superficialità. Il presidente non avrebbe dovuto presentarsi all’audizione, spiegano oggi i detrattori. Non quel giorno, almeno. Non dopo aver trascorso ore in riunione con la squadra della Sicurezza Nazionale all’interno della Situation Room, impegnato a gestire una delle crisi internazionali più dellicate degli ultimi anni.

Certo, il presidente si sente “preparato“. E in fondo lo è. Ma chi può escludere che Hur decida di svariare su un fronte più ampio? E cosa accadrebbe se il procuratore speciale scegliesse di mettere alla prova la memoria di Biden su un fianco scoperto? È la legge di Murphy: se qualcosa può andar male, lo farà. E sì, lo fa.

Quell’appunto sul taccuino: quando Biden pensò di dimettersi in segno di protesta dall’amministrazione Obama. Il racconto dell’interrogatorio con il procuratore Hur. L’aneddoto sul figlio Beau e il numero di telefono personale ai genitori della soldatessa uccisa

A dirla tutta, un dubbio sull’opportunità di presentarsi all’incontro con il procuratore Hur viene sollevato proprio a ridosso dell’incontro: sarà il caso di rimandare? No, meglio di no. L’agenda del presidente degli Stati Uniti d’America viene programmata con cura maniacale. C’è un’attenta pianificazione dietro la due giorni di incontri che lo staff ha riservato all’interrogatorio del procuratore. Rinviare vorrebbe dire trovare del tempo in futuro, ma con un mondo in fiamme, e nel mezzo di un anno elettorale, la valutazione finale è che valga la pena levare subito il dente.

La discussione viene annaffiata da alcuni sorsi d’acqua e da alcune battute pronunciate da ambo le parti: è il tentativo di rendere il confronto il meno possibile conflittuale. Eppure è chiaro fin da subito che Hur non si limiterà al compitino. In più di un’occasione chiede a Biden di confermare che quella che gli sottopone sia la sua calligrafia. Succede anche per una cart…

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