Marzo 20, 2024

I retroscena delle telefonate con Putin. Gli errori. La nuova consapevolezza. Dentro la nuova strategia per l’Ucraina di Emmanuel Macron

È una gelida notte di febbraio quella che Emmanuel Macron ha scelto per guardare negli occhi Vladimir Putin. Centimetri di neve si posano delicati sul prato che circonda le alte mura del Cremlino. E un lungo corteo la accompagna, Monsieur le Président. Le mani del leader di Francia sono intrecciate dietro la schiena, mentre un consigliere diplomatico tenta di indagare il silenzioso flusso di pensieri dell’uomo che crede di scongiurare il ritorno della guerra in Europa. Cinque ore di confronto a porte chiuse sono alle spalle. C’è spazio almeno per una tregua dalle angosce di questi giorni? Passo dopo passo, la tensione sembra finalmente sciogliersi, ma il presidente mette un piede in fallo. È un attimo. Macron pare sul punto di perdere l’equilibrio. Però è lesto nel riconquistarlo. Ora sorride. Di questa neve non ci si può fidare. Ancora non lo sa, ma lo stesso vale per Vladimir Putin.

A pochi giorni dall’inizio dell’invasione, l’istinto di Macron è onesto, sincero, veritiero: questa volta non è come in passato, si dice. E quella in Ucraina non è un’avventura come le altre, ma un punto di svolta per tutta l’Europa, per l’intero Occidente. Il Presidente lo sente. Così è una fiducia commovente – ma per molti versi ingenua – nel potere della diplomazia, nel valore dei rapporti umani, a convincerlo che trovare le giuste parole servirà a far ragionare l’uomo forte di Mosca, a salvare migliaia di vite.

Eccolo, ora Vladimir Putin è in linea con l’Eliseo. Siamo pronti? Lo siamo.

Eppure la voce dall’altra parte non pare quella del dittatore che terrorizza il mondo in tv. Le parole del leader russo sono come attutite, un soffio leggero. Sembra curioso di ascoltare il suo interlocutore, non lo interrompe. Piuttosto è Macron, alle volte, a forzare la mano: “Non so dove i tuoi esperti abbiano studiato legge!“, azzarda il transalpino quando l’altro chiede che Kyiv accetti le condizioni poste dai separatisti del Donbas. Putin non si offende. Vladimir Vladimirovich è perfettamente a suo agio. Racconta molte bugie, mette in bocca a Macron parole che questi non ha mai pronunciato. E poi alterna rivisitazioni storiche ad accuse senza fondamento. Il tutto con una grande naturalezza, come qualcuno che giochi a questo sport più o meno da sempre.

Ma Emmanuel Macron non ha fretta. Anzi. Sarebbe ben felice di comprare tempo. Percepisce di averne poco. Così gioca il suo jolly: “Vladimir, voglio organizzare un vertice nei prossimi giorni, a Ginevra, fra te e il presidente Biden. Ho parlato con lui, gli ho chiesto se potessi proporlo. Mi ha detto di dirti che è pronto. Dimmi la data che preferisci“. Non c’è pietanza politica più prelibata di questa, offerta migliore che possa proporre, opzione diplomatica più ambita di un incontro col leader del mondo libero. E qui risuona un primo campanello d’allarme. O almeno dovrebbe. Perché Putin è come una saponetta: più tenti di stringere la morsa, più diventa sfuggente, inafferrabile: “Ti ringrazio, Emmanuel, è sempre un piacere e un onore parlare con le controparti europee, così come con gli Stati Uniti. E mi fa sempre piacere parlare con te, perché abbiamo un rapporto di fiducia. Dunque Emmanuel, ti suggerisco di invertire: prima questo vertice deve essere preparato, poi annunciato. Se ci presentiamo e parliamo di tutto e niente, verremo criticati..”.

È chiaro che Putin stia cercando una via di fuga, che voglia sottrarsi. Così Macron serra ulteriormente la presa. Vuole strappargli una promessa: “Ma possiamo dire oggi, alla fine di questa discussione, che siamo d’accordo in linea di principio? Vorrei una risposta chiara su questo. Comprendo la tua reticenza su una data, ma sei pronto a dire che vuoi incontrarti con gli americani e poi ad aprire agli europei? O no?“. Non è certo entusiasmo quello che proviene dall’altra parte, ma uno spiraglio sembra aprirsi: “È una proposta che vale la pena di prendere in considerazione“, ammette Putin, “ma per avere un allineamento su come formulare la frase propongo di chiedere ai nostri consiglieri di telefonarsi l’un l’altro il prima possibile per mettersi d’accordo. Ma sappi che, in linea di principio, sono d’accordo“.

Emmanuel Macron crede di aver estratto il suo biglietto della fortuna, di aver ottenuto un risultato, forse una speranza. Il francese trattiene a stento la sua soddisfazione, fa per ribadire che i due staff potranno stendere una dichiarazione congiunta al termine di quella stessa telefonata. Ma l’entusiasmo dura poco. Perché è Putin a spezzare l’incantesimo.

Lo sgarbo di Putin al telefono. L’aneddoto su quel treno per Kyiv. La telefonata con Boris Johnson prima dell’invasione. Il tabù infranto all’Eliseo e le parole del capo di stato maggiore francese

Se si tratti di uno sfregio studiato o di pura e semplice maleducazione ancora oggi nessuno può dirlo. Ma è un fatto che il presidente russo tagli corto: “Per essere onesto con te, volevo andare e giocare ad hockey su ghiaccio, perché sto parlando con te dalla palestra”. Forse comprende di essere stato sgarbato. Perché subito dopo arriva una rassicurazione: “Prima di iniziare il mio allenamento, non preoccuparti, chiamerò i miei consiglieri“.

Putin per una volta mantiene la promessa. Certo che lo fa, ma a modo suo. Tre ore dopo è il fido Yuri Ushakov ad informare Parigi: il Cremlino non vuole sia fatto alcun riferimento al vertice con Biden.

È come girare a vuoto, è come tornare ogni volta al punto di partenza. “Il problema, con Putin, è che è un bugiardo“, sintetizza Emmanuel Bonne, consigliere diplomatico di Macron. Oppure è un altro ancora: il problema, con Putin, è che ha già deciso di muovere gu…

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