Così può cadere Bibi Netanyahu. Israele, scoppia la “bomba” interna degli ultraortodossi: i dettagli
Di tutti gli stereotipi associati ai leader in crisi, uno almeno non si addice a Bibi Netanyahu: quello dell’uomo solo. Da molto tempo il primo ministro d’Israele si sente assediato. Altro che solitudine, è di sindrome d’accerchiamento che sente di soffrire, a maggior ragione dopo il più recente fra i report dell’intelligence USA. Gli 007 americani non usano mezzi termini per definire la sua leadership a repentaglio. Di più: arrivano a pronosticare proteste di massa, capaci di scuotere le fondamenta del suo governo, di segnarne la personale fine. Scenario fin troppo concreto per essere ignorato, spada di Damocle inquietante sul capo del più navigato tra i politici del luogo, memento quotidiano sul fatto che per restare a galla bisognerà lottare. E potrebbe pure non bastare.
Non che non sappia come farlo. Un po’ come quella notte di maggio del ’69, quando solo una cosa chiamata Destino decise che il 19enne Bibi Netanyahu non sarebbe annegato sotto il peso dell’equipaggiamento delle forze speciali israeliane, nelle acque del Canale di Suez. “Aveva gli stessi riccioli di Yoni“, racconta il commilitone finito come lui nel mezzo dell’imboscata nemica, riferendosi ai capelli del fratello maggiore di Bibi, Yonatan Netanyahu, lui sì destinato a morire sotto il fuoco nemico. Fu la sua mano ad afferarlo, un attimo prima che venisse risucchiato. L’imboscata li colse impreparati: furono bravi davvero questi egiziani, gli va riconosciuto. Eppure eccolo, Netanyahu: in qualche modo, trova il modo per salvarsi, per restare a galla. Mentre tutt’intorno infuriano le esplosioni, e il salvagente non si apre. E quello zaino sembra un macigno, una condanna. Ma Bibi lotta, chiede all’acido lattico un’ultima tregua. Allo stremo, sembrerebbe finita. Non lo è, non ancora.
Il copione si ripete imperterrito più o meno da qualche decennio, sebbene in altro ambito. Netanyahu appare all’angolo, a un passo dal ko tecnico, ma sempre capace di divincolarsi, di sfuggire alla morsa della morte politica, di tornare a ossigenare. Così dal massacro del 7 ottobre politica israeliana e osservatori esterni alternano pronostici di varia natura. Cosa darà il colpo di grazio al governo di Bibi? Chi detronizzerà il Re d’Israele? Forse sarebbe più giusto chiedersi cosa. E in particolare quale paradosso potrebbe spezzare l’incantesimo di “Bibi il Mago“, dall’inizio del conflitto mai così a rischio come in queste ore.
Per capire bisogna partire dai numeri, analizzare i rapporti di forza alla Knesset, il parlamento israeliano. Prima della guerra Netanyahu godeva di una maggioranza risicata: 64 seggi su un totale di 120, un margine a prova di raffreddore. Gli attacchi di Hamas hanno compattato il Paese, restituito unità quanto meno apparente dinanzi allo spauracchio della minaccia esterna. Il leader dell’opposizione e favorito dei sondaggi, Benny Gantz, si è così convinto ad unire i 12 seggi di Unità Nazionale al governo d’emergenza: in cambio ha ricevuto potere di voce e di voto nel gabinetto di guerra a tre, privilegio concesso al solo Netanyahu e al ministro della Difesa, Yoav Gallant. In assenza dello stesso trattamento, il parlamentare Gideon Sa’ar (Nuova Speranza) ha fatto ritorno all’opposizione col proprio drappello, così riportando la maggioranza a 72 seggi su 120. …