Aiuti dal Congresso USA: dentro l’ultimo (difficile) tentativo per salvare l’Ucraina. La mossa di Speaker Johnson, la minaccia di una mozione di sfiducia: tutti i possibili scenari
Per Donald Trump era semplicemente “The Swamp“, la palude. Washington come luogo di corruzione, di perdizione. Ma provate a chiedere a Mike Johnson se è d’accordo. Lo Speaker della Camera è al bivio di due storie. E se della sua vi importa poco lo comprendo. Ma il punto è questo: dalla prima passa pure il destino dell’Ucraina, il futuro dell’Occidente, senza esagerazioni.
Quanto a Johnson, interpellato al riguardo, è più o meno questo che vi direbbe, ne sono certo: quella in cui sono chiamato a navigare non è una palude, piuttosto un ammasso infido di sabbie mobili, un vortice di disperante dannazione, senza apparente tregua.
D’altronde la vita è spesso questa: questione di attimi fuggenti. Pochi mesi prima sei l’uomo più felice del mondo, uno sconosciuto deputato della Louisiana issato sul gradino più alto del podio senza spiegabile ragione dai colleghi in parlamento. Vogliono sia tu ad impugnare il martelletto, a cimentarti là dove in tanti hanno fallito. E tu ci credi, accetti, festeggi, ti impegni. Ma poi tutto cambia, quasi all’improvviso, come sempre. Le tue fortune crollano, il malcontento aumenta, ti accusano di tradimento. Loro, a te. E sai bene che dovresti muoverti, che l’inazione non è un’opzione, ma più lo fai, più vieni trascinato verso il fondo, risucchiato, preda di questa trappola crudele, senza visibile scampo.
Inutile anche dimenarsi, tentare di scrutare l’orizzonte, nessuno tenderà la mano: dovrai provare a salvarti da solo.
Ecco, l’ufficio dello Speaker è questo perenne mistero. È sempre il prossimo il momento che conta davvero. Ma stavolta di più. Perché non è una trattativa come le altre. Non è solo un appuntamento con la propria coscienza. Dietro l’angolo c’è la Storia. E sul taccuino, adesso, una domanda appena: batterai un colpo, America?
Ormai da tempo i soldati di Kyiv vivono una sorta di tortura. Asfissiati dalla morsa del nemico, sono costretti a preoccuparsi non soltanto di salvare la pelle, ma pure di centellinare i proiettili. Se non è l’Inferno in Terra risulta difficile immaginarne uno granché diverso.
Ai senatori USA, nelle scorse settimane, è stato raccontato di un giovane militare ucraino intento a compulsare il telefono in trincea: cercava la notizia tanto attesa, l’approvazione degli aiuti militari da parte del Congresso. Si dice che i politici americani siano rimasti scossi, che tornati a Washington abbiano chiesto ai colleghi di darsi una mossa: è una questione di vita o di morte, hanno spiegato in mezzo allo scetticismo, ma di vita o di morte sul serio.
Il mese scorso, in occasione di un pranzo a porte chiuse per una raccolta fondi in New Jersey, i presenti dicono di aver visto un Mike Johnson come mai prima. E sì, da deputato semplice anche lui si è opposto all’invio di nuovi aiuti: chiedeva un maggiore controllo sui fondi stanziati, elencava miriadi di priorità da sostituire al sostegno dell’Ucraina. Ma adesso, giura chi gli ha parlato, qualcosa è cambiato: dicono sia la responsabilità del governo a fare questo effetto.
Un appassionato monologo ha così colpito al cuore l’intero uditorio. Ecco, Johnson sta ora richiamando le sue radici da repubblicano alla Reagan, si spinge a definire Vladimir Putin niente di meno che “un pazzo“. E Jacquie Colgan, seduta in ascolto, non è insensibile a quel discorso. Sarà anche una signora di mezza età, ma quando l’invasione ha avuto inizio non è rimasta con le mani in mano: è andata in Polonia, ha lavorato da volontaria in un campo per rifugiati, lei può permettersi di porgli la fatidica domanda.
Mr. Speaker, come farà a tenere insieme le pressioni provenienti dall’ala destra del suo stesso partito e la necessità di sostenere la resistenza? Johnson si ferma per un istante, poi le offre in risposta un aneddoto personale. Nel suo ufficio, dice, è custodita e incorniciata una copia della famosa citazione: “L’unica cosa necessaria per il trionfo del male è che gli uomini buoni non facciano nulla“.
Guardando negli occhi la sua interlocutrice, Johnson garantisce: “Non sarà così per noi. Faremo la nostra parte“.
Resta da capire come potrà mantenere la sua promessa.
La situazione al Congresso USA: la possibile mossa di Johnson, la minaccia pendente di una mozione di sfiducia, le conseguenze di un fallimento secondo il comandante delle forze americane in Europa
I Democratici scommettono che alla fine Mike Johnson dovrà arrendersi all’evidenza: non esiste alternativa al pacchetto approvato a febbraio in Senato – 95 miliardi di dollari in aiuti per l’Ucraina, Israele, Taiwan – al disegno di legge che proprio lo Speaker aveva giudicato “morto in partenza“.
Johnson si è così messo in testa di ripartire da zero, o quasi, lavorando di fantasia. E di pallottoliere. L’idea di partenza merita attenzione. Prevede di spacchettare la mole di aiuti, tenendo votazioni singole per ogni elemento. Una volta per l’Ucraina, un’altra per Israele, un’altra ancora per Taiwan. Una strategia pensata per evitare di disperdere voti di deputati democratici ormai dichiaratamente ostili a Netanyahu e alla sua guerra, e per questo indisponibli ad acconsentire all’invio di nuovi aiuti per Kyiv se ciò dovesse significare approvarli pure per Israele.
Chi frequen…