Aprile 11, 2024

Rappresaglia iraniana. Il “jolly” di Khamenei e le mosse dell’intelligence USA. Come una telefonata di Biden potrebbe aver cambiato l’effetto domino del Medio Oriente

Che la questione fosse seria, capace di spostare i fragilissimi equilibri esistenti, si è capito in definitiva nella tarda serata di ieri. Ad annunciarlo uno scoop di Axios: il generale Erik Kurilla, comandante del CENTCOM – tradotto: il numero uno delle forze americane in Medio Oriente – è atteso in Israele. Peso massimo della potenza USA, attore chiave del processo decisionale a stelle e strisce, la sua presenza nello Stato Ebraico è il sintomo inequivocabile di una svolta imminente, il segno che la macchina del futuro ha acceso uno dei suoi motori.

Perché Gaza è Gaza, e le tensioni restano, come ferite rimarginabili ma cicatrici evidenti, eppure – al di là delle tensioni senza precedenti – Washington e lo Stato Ebraico condividono la consapevolezza di un comune destino, la necessità di mettere da parte le incomprensioni di ieri per difendersi dalle minacce di domani.

È per questo che un secondo dopo l’uccisione del generale Zahedi a Damasco, quando è chiaro che la Repubblica Islamica dovrà replicare per ripristinare il concetto di deterrenza, lo scambio di informazioni torna a registrare ritmi incessanti, a garantire che nulla venga lasciato al caso, e che l’attacco, quando avverrà – non “se” – non colga impreparato Israele.

I post di “indizi” dei due senatori USA falchi della sicurezza. Il jolly nel mazzo di Khamenei. La telefonata di Biden che potrebbe aver cambiato l’effetto domino nel Medio Oriente

Così meritano particolare attenzione i post di due senatori USA in genere indicatori affidabili degli umori dell’intelligence USA. Il primo a entrare a piedi uniti nella vicenda è Marco Rubio, segnalando su X la “minaccia di un attacco imminente” contro Israele da parte dell’Iran e dei suoi proxy.

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