Aprile 23, 2024

Le conseguenze dell’onore. Perché Mike Johnson dopo aver aiutato l’Ucraina rischia il posto da Speaker

Giovedì mattina, Capitol Hill. Ormai è chiaro che Speaker Mike Johnson abbia scelto da che parte stare. Lui lo definisce “il lato giusto della Storia“. Non è lontano dalla verità. Ma il gruppo di deputati che gli si avvicina ora con fare bellicoso non sembra pensarla allo stesso modo. Sono i suoi compagni di partito, certo, e pochi mesi fa sono stati proprio loro ad eleggerlo per una carica che uno sconosciuto deputato della Louisiana mai avrebbe osato anche solo immaginare. Ma adesso sono arrabbiati, e si vede chiaramente, mentre puntano contro di lui.

Sarà anche inesperto, alle prime armi, sprovvisto del carisma necessario a guidare una conferenza rissosa come quella del Partito Repubblicano, ma Mike Johnson sa bene cosa vogliono da lui. Del resto è da giorni che li sfida, che consapevolmente lascia intendere di non essere interessato al loro appoggio. Forse è questo che li manda in bestia. Il pacchetto di aiuti per l’Ucraina passerà, che lo vogliano oppure no, ha ripetuto in privato ai colleghi che in questi giorni hanno bussato alla porta del suo ufficio. E se ne è così sicuro è perché ha pregato, e dal Cielo ha ottenuto la risposta che cercava.

Eppure non è soltanto di questo, ora, che Matt Gaetz e gli altri della sua gang vogliono discutere. Il fatto è che a Capitol Hill le voci girano in fretta. E non c’è voluto molto tempo per venire a sapere che Johnson sta pensando di cambiare le regole che consentono a un solo deputato di mettere ai voti la rimozione dello Speaker.

C’è un motivo se Johnson sta pensando a questo azzardo. Il fatto è che sulla sua testa pende da settimane una spada di Damocle. Anzi, la spada di Marjorie Taylor Greene. È stata lei a depositare una mozione di sfiducia, astenendosi per ora dal premere il grilletto. Forse spera ancora di poterla usare come leva per condizionare l’agenda politica di Johnson, e magari crede di riuscire nel suo intento: scongiurare l’invio di aiuti per Kyiv, suo perenne tarlo. A questo proposito sta anche lavorando ad un emendamento particolare: lo stesso giorno in cui l’Aula si riunirà per approvare l’assistenza militare per gli Alleati americani in giro per il mondo chiederà che dal pacchetto vengano depennati tutti quelli destinati a Kyiv. Semplice no?

Eppure a fare la voce grossa è soprattutto Matt Gaetz. Fino ad oggi non ha mai messo in discussione la posizione di Mike Johnson. Non pubblicamente, almeno. Ma non può accettare che la “sua” regola venga modificata. Nella scorsa legislatura, quella presieduta da Nancy Pelosi, era necessario che a schierarsi per la cacciata di uno Speaker fosse almeno la maggioranza di un partito. Soltanto a quel punto la Camera avrebbe votato. Ma quando Gaetz si presenta nell’ufficio di Kevin McCarthy, ultimo titolare del martelletto prima di Johnson, chiarisce che è questa la contropartita da accettare per restare in sella: rendere la mozione di sfiducia a portata di un solo deputato, affidare agli umori del singolo eletto i propri destini. McCarthy non è uno stupido, ma non ha scelta. Si fida di una stretta di mano, deve farlo, e finisce per soccombere, impallinato dai suoi colleghi dopo una sfida all’O.K. Corral.

Si capisce che Mike Johnson voglia altre garanzie, visti i precedenti. Ma gli estremisti del campo MAGA non sentono ragioni, e la tensione cresce a vista d’occhio. Si interrompe soltanto per pochi istanti, in un momento che sarebbe perfetto per una commedia. Proprio mentre i toni si infiammano, il deputato democratico texano Al Green, ignaro di ciò che sta accadendo dall’altra parte dell’aula, sale sul podio e inizia a citare il “Pledge of Allegiance“, il giuramento di fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti. I repubblicani, come per magia, smettono di colpo di litigare. Lo sguardo è ora rivolto alla bandiera a stelle e strisce, la mano sul cuore, le labbra intente a recitare il giuramento. Ma dura poco. Quando la discussione riprende, c’è la netta sensazione che la situazione possa degenerare.

Il confronto a muso duro con Gaetz. La telefonata “segreta” tra lo Speaker e il leader di minoranza democratico dopo l’attacco iraniano a Israele. La mozione di sfiducia di MTG e perché Johnson rischia di perdere il martelletto

Quando comprende che si stia oltrepassando il segno, a farsi avanti è Derrick Van Orden.

Il deputato del Wisconsin ha visto il suo amico Mike Johnson in difficoltà, e si schiera al suo fianco. Adesso punta il dito contro i radicali GOP, li invita a mettere ai voti la mozione di sfiducia, “presentatela o state zitti“, li sfida. Gaetz lo accusa di essere un debole, ma è di Van Orden l’ultima parola, “vattene, paffutello“.

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