Dicembre 30, 2019

Giuseppe Conte non vuole tornare a fare l’avvocato

Sul finire del 2019, mentre gli italiani sono ancora in clima natalizio, col nuovo anno alle porte, Giuseppe Conte sceglie di comunicare al popolo di cui si è auto-proclamato avvocato, che di tornare a fare l’avvocato con la toga non ha più voglia.

La svolta è di quelle importanti ed è la conferma di alcuni punti emersi negli ultimi mesi:

  • Conte non è il fantoccio che qualcuno aveva descritto in maniera troppo affrettata.
  • Conte è dotato di un carattere, o forse sarebbe meglio dire di un ego, non indifferente che lo ha portato ad apprezzare l’ebbrezza che solo il ruolo da protagonista sul palcoscenico politico regala. Dietro le quinte? Mai più.
  • Conte che dice “qualsiasi contributo mi troverò a dare sarà comunque in linea con la mia inclinazione che sabato ho esplicitato: sono un costruttore, non sono divisivo” si sta ufficialmente candidando a nuovo Prodi. La prospettiva è quella di nuovo federatore del centrosinistra, il leader di un rassemblement che abbia il suo interno il Pd e il MoVimento 5 Stelle. In questo schema molto lineare il nostro Azzeccagarbugli non tiene conto di due problemi: uno è Renzi, l’altro è Di Maio. Ce lo vedete il leader di Italia Viva a fare il porta-voti di Conte? Io onestamente no. E Di Maio, secondo voi, scalpita all’idea di consegnare a Conte le chiavi del MoVimento dopo essersi fatto portare via la maggioranza anche in Consiglio dei Ministri? Non credo.

Il passaggio che però più mi ha colpito nel colloquio con “La Repubblica” è un altro. Al già di per sé disarmante “non vedo un futuro senza politica” bisogna aggiungere il seguito: “Non mi vedo novello Cincinnato che mi ritraggo e mi disinteresso della politica“.

Ripeschiamo i libri di storia. Chi era Cincinnato? Tito Livio ne fa un esempio di “statista” dell’età repubblicana romana. Descrive questo console e dittatore come un uomo integerrimo, laborioso, votato alla causa pubblica. La storia narra che una volta esaurito il suo incarico, Lucio Quinzio Cincinnato (cognomen che significa “riccioluto”) rifiutò il secondo mandato e si ritirò nei campi. La situazione a Roma, però, senza di lui precipitò. Fu proprio nelle sue terre che lo trovarono i messaggeri inviati dal Senato: Cincinnato veniva infatti considerato l’unico in grado di ristabilire l’ordine. Vedendoli arrivare, l’uomo disse ironicamente: “Va tutto bene, vero?”. Da uomo delle istituzioni qual era, Cincinnato non poté sottrarsi al richiamo di Roma. Per ricevere gli ordini del Senato, però, necessitava di un abbigliamento consono all’occasione: per questo, mentre si ripuliva dal sudore e dalla polvere dei campi, chiese alla moglie di riprendergli la toga che aveva da tempo conservato. Compiuta la sua opera per Roma, Lucio Quinzio Cincinnato tornò alla sua umile vita agricola, rinunciando alla toga.

Quella stessa toga che, ai giorni nostri, è per Conte il simbolo di una professione passata, dimenticata, ritenuta inadatta a rappresentare al meglio la sua metamorfosi. Dice di non sentirsi indispensabile, ma preferisce la ribalta della vita pubblica all’umiltà dell’uomo di Stato. Conte ha ragione: non è Cincinnato.

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