Aprile 4, 2024

La mossa non concordata di Macron, la rabbia di Scholz, il memo del Cremlino per spaccare la NATO: i giorni difficili dell’Alleanza

Sébastien Lecornu e Sergej Shoigu non ascoltavano l’uno la voce dell’altro dall’ottobre del 2022. Era stato il ministro della Difesa russo a insistere per una telefonata, il tono d’urgenza del siberiano a suggerire l’importanza della questione.

Kyiv, spiegava adesso con convinzione il fedelissimo di Vladimir Putin al ministro delle Forze Armate francesi, era in procinto di ultimare i preparativi per il lancio di una “bomba sporca“, un ordigno contenente materiale radioattivo da utilizzare all’interno della stessa Ucraina, per incolpare la Russia e trascinare la NATO nel conflitto.

A distanza di tempo l’omologo inglese dell’epoca, Ben Wallace, avrebbe poi raccontato di non aver mai capito se Shoigu credesse realmente al suo racconto: “Forse aveva un po’ di roba dell’intelligence. O forse si adattava alla loro narrazione, faceva parte di una loro campagna false flag. Non puoi mai esserne certo“.

Un anno e mezzo dopo, il silenzio si è trasformato in rancore, diffidenza. Questa volta è Lecornu a prendere l’iniziativa. E Mosca non fa nulla per nasconderlo. Un comunicato del ministero della Difesa russo informa che il 3 aprile 2024, “su richiesta pressante della parte francese“, i due ministri sono tornati a parlarsi. È un caso che succeda nel giorno in cui il tentativo dietro le quinte di Emmanuel Macron di convincere la NATO ad affermare il principio dell’ambiguità strategica viene raccontato per filo e per segno da un retroscena del Wall Street Journal? Ma sì, forse è solo una coincidenza. Oppure no.

Parigi fornisce il contesto. Il suo impegno nella lotta al terrorismo internazionale non è venuto meno. E dopo l’attentato al Crocus City Hall di Mosca pare voler tendere una mano verso la Russia. Nonostante le profonde divergenze, forse, c’è ancora un terreno comune su cui collaborare. Ma il Cremlino non sembra pensarla allo stesso modo: valuta che sia più redditizio giocare sporco. Nel suo resoconto, Shoigu dice infatti di aver “notato la disponibilità” francese “al dialogo riguardo all’Ucraina. Il punto di partenza”, aggiunge “potrebbe essere la “Iniziativa di Pace di Istanbul“. Parigi tratta con Mosca alle spalle di Kyiv? Grave.

Sono parole che nel giro di pochi minuti rimbalzano in tutte le cancellerie internazionali: cosa significa questa frase? La Francia sta aprendo ai negoziati? Siamo davanti a un cambio di politica da parte dell’intero Occidente? Il dubbio sinceramente viene, e si fa strada in modo più semplice dopo quasi due anni di guerra. Così dall’Eliseo si comprende la necessità di una smentita. Il ministro Lecornu fa sapere di aver “ricordato che la Francia continuerà a sostenere l’Ucraina per il tempo e l’intensità necessari nella sua lotta per la libertà e la sovranità”. Caso chiuso, forse. Perché è l’ex presidente Hollande, stamattina, a tirare le orecchie al suo successore all’Eliseo: “Avete visto come la Russia sfrutta questo tipo di discussioni. (…) La mia raccomandazione è di non avere contatti con la Russia“. Del resto Emmanuel Macron ha già attraversato questa fase.

C’è stato un tempo non molto lontano da questo, nei giardini di Versailles, in cui un giovane presidente francese ha creduto alle parole di Vladimir Putin. Circondati dalla bellezza della reggia voluta dal Re Sole, Macron ha pensato di costruire insieme alla Russia una nuova “architettura di sicurezza europea“. Non era un’idea illuminata, soltanto un’allucinazione.

Eppure su un punto Macron è stato chiaro fin dall’inizio del conflitto: mai e poi mai si sarebbe privato dell’opportunità di tornare a trattare: “Prenderò il telefono. Perché sento che è mia responsabilità e ascolterò quello che Putin ha da dire. Se improvvisamente vuole offrire qualcosa, ascolterò il significato della sua proposta“. Ebbene, l’Eliseo crede che quel giorno sia ancora distante.

Il segnale arriva a febbraio. Emmanuel Macron è impegnato nell’organizzazione di una Conferenza per il sostegno all’Ucraina che ritiene di fondamentale importanza per ricalibrare la strategia dell’Occidente. Lo stesso leader accusato all’inizio dell’invasione di essere un “nuovo Chamberlain” adesso si rende protagonista di una forte autocritica: “Abbiamo posto troppi limiti al nostro vocabolario“. Spera di convincere Joe Biden a partecipare di persona, ma nell’agenda dell’americano non c’è spazio: sarà James O’Brien, Assistant Secretary per gli Affari Europei al Dipartimento di Stato, a rappresentare l’amministrazione USA. Forse non è uno smacco, ma è il sintomo che la svolta comunicativa che Macron sta inseguendo non troverà il suo naturale sbocco a Parigi: il presidente degli Stati Uniti non affiderebbe a un oscuro funzionario la gestione di un passaggio così importante. E Macron lo intuisce, ma ha altri piani. Nel mirino del presidente francese, adesso, c’è soprattuto Olaf Scholz.

Il cancelliere tedesco, nelle telefonate private intercorse col presidente francese, espone dubbi e riflessioni che non si discostano in maniera significativa da quelle di Joe Biden. Washington non crede ci sia necessità di un cambio di spartito. Di più: teme che in questo momento lasciare sul tavolo tutte le opzioni militari significherebbe favorire la probabilità di un’escalation. Non è ciò che vuole. Scholz usa argomenti simili: anche lui è contrario. Afferma che i Paesi NATO diventerebbero in questo modo parte attiva nel conflitto. E sottolinea soprattutto un fattore chiave: rispetto alla linea di Macron non c’è consenso e la compattezza dell’Alleanza ne risentirebbe. Almeno su questo aspetto Scholz ha ragione, anche se ancora non può saperlo.

A differenza di Joe Biden, il Cancelliere decide di partecipare in presenza alla Conferenza organizzata da Macron. Pensa sia l’occasione per mostrare in pubblico che il fronte di sostegno per l’Ucraina può ancora…

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