Novembre 4, 2020

America 2020: tutto come (im)previsto

Non sono i sondaggi i veri sconfitti dell’Election Night americana. Nessuna Caporetto delle previsioni. Siamo ampiamente dentro il margine d’errore e con milioni di voti ancora da scrutinare è ancora tutto possibile: dall’ipotesi più probabile, che porti in qualche modo Joe Biden alla Casa Bianca, a quella meno scontata ma mai esclusa da chi conosce le dinamiche elettorali a stelle e strisce, un bis di Trump.

Allora cos’è andato storto? Perché, se qui è già giorno, non conosciamo ancora il nome del prossimo presidente Usa? Sintetizzando, con un po’ di ironia, si potrebbe dire che siamo pur sempre nel 2020, un anno che ha fatto fin dall’inizio di testa propria, in cui il giallo è il colore d’ordinanza: sarà così fino in fondo.

Scavando in profondità, però, si possono già mettere in fila alcuni elementi.

Primo: Trump nel 2016 non è stato un accidente della storia. Se così fosse stato, a questo punto avremmo avuto una “landslide victory” di Biden, una vittoria a valanga del Democratico e un rigetto del Paese nei confronti di Donald. Non c’è stata, è un fatto.

Secondo: il biondo di Manhattan è uno straordinario animale da campagna elettorale. Negli ultimi giorni ha battuto l’America palmo a palmo, l’Air Force One lo ha trasportato da un angolo all’altro del Paese e la sensazione del cronista è stata confermata in particolare a Sud: la fan-base del presidente era motivata, addirittura sovreccitata; ai suoi comizi non c’erano lo scoramento e la rassegnazione tipica delle comunità perdenti. Anche stavolta se l’è giocata. Dovesse perdere, il Partito Repubblicano difficilmente riuscirà a “detrumpizzarsi”; dovesse vincere avrebbe fatto un capolavoro di portata storica.

E Biden? Biden sta facendo il suo. Ad eccezione della Florida, dove i cubano-americani hanno spostato l’ago della bilancia a favore di Trump, il candidato democratico sta facendo anche meglio di Hillary Clinton nel 2016 praticamente ovunque. Serve che completi l’opera negli stati del Midwest: Wisconsin, Michigan, soprattutto Pennsylvania, la sua terra d’origine. Tutto può finire dove tutto ha avuto inizio. Con l’aiuto (quasi) insperato dell’Arizona: lo Stato d’origine di un certo John McCain, l’eroe di guerra, il Repubblicano vecchio stampo che non ha mai accettato di piegarsi al Trumpismo, e forse sta dando una mano da lassù al “vecchio” amico Joe.

Non c’è altra soluzione che aspettare: ore, probabilmente giorni, a meno che non sia chiaro che si possa fare a meno della Pennsylvania per assegnare la vittoria ad uno dei candidati. Ma difficilmente accadrà. Nel frattempo Trump ha detto di avere “già vinto“. Falso, tutto è ancora in gioco.

Paradossalmente tutto sta andando come (im)previsto: lo avevamo scritto il giorno prima del voto. C’è il rischio di finire in tribunale, quello ancora più concreto che le parole del Presidente alimentino scontri tra opposte fazioni. Due Americhe, una Casa Bianca: è lunga, è ancora lunga.


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