Dicembre 17, 2020

La passerella di Conte in Libia: quando la politica estera serve ad uso interno

Essere felici per la liberazione dei pescatori di Mazara non vuol dire di conseguenza essere costretti a lodare le qualità dello statista Conte. E viceversa. Sottolineare che la passerella a Bengasi potesse essere evitata non significa cercare la critica ad ogni costo. Al contrario, vuol dire raccontare la verità.

Così come scrissi per Silvia Romano, se mi trovassi in un angolo sperduto del mondo, ostaggio in mano a spietati assassini, vorrei che lo Stato cercasse di salvarmi senza badare a spese. Lo stesso trattamento desidererei per un mio caro. Per questo motivo stoppo in partenza le critiche di chi oggi si chiede quanto sia costato il rilascio dei pescatori ostaggio in Libia.

Ci sono Paesi, ad esempio gli Stati Uniti, che non trattano con i sequestratori. La loro logica è la seguente: basta una sola trattativa per rendere immediatamente bersagli delle bande di terroristi in cerca di riscatto tutti i cittadini americani sul Pianeta.

Il ragionamento fila, ma noi non possiamo meravigliarci di essere italiani dall’oggi al domani: siamo il Paese che ha escluso in partenza l’uso dello strumento militare nella crisi libica, perdendo così quel po’ di influenza che c’era rimasta nel nostro ex giardino di casa dopo la morte di Gheddafi, figurarsi se dall’oggi al domani la politica è in grado di autorizzare una missione così rischiosa, potenzialmente in grado di costare la vita degli ostaggi. Siamo realisti.

Ecco allora un falso dilemma: “Abbiamo pagato il riscatto anziché mandare i reparti speciali a liberare gli ostaggi, vergogna!”. Come sempre, c’è una via di mezzo.

Un governo che si rispetti – e che sia rispettato – avrebbe potuto ventilare ripercussioni a livello militare sulle fazioni capitanate da Haftar e chiedere l’immediato rilascio degli ostaggi. Perché non è stato fatto questo? Qui si ritorna al punto di partenza: perché Conte non vuole utilizzare lo strumento militare. Di più: lo ha spiattellato ai quattro venti. Risultato: chi volete che ci tema? Ciò significa che in tutti i contesti che ci vedono impegnati, in primis nel Mediterraneo, tutti o quasi si sentono in diritto di fare quel che vogliono agli italiani. Tanto paga Pantalone.

Altro falso dilemma in arrivo: credere quanto espresso finora non signfica neanche, come fatto ad esempio dal numero uno del Copasir, il leghista Volpi, scadere nei ringraziamenti circoscritti alla sola intelligence. Questo atteggiamento, soprattutto da parte di una figura istituzionale, significa mettere in difficoltà la nostra stessa intelligence che, ricordiamolo, non è né di Conte né della Lega, ma al servizio della Repubblica italiana.

Insomma, c’è chi politicizza in un modo e chi in un altro.

Però sapete, quando Rocco Casalino, portavoce del premier, risponde ai giornalisti che chiedono informazioni sulla missione in Libia con una scenografica geolocalizzazione dal suo smartphone direttamente dalla municipalità di Bengasi, nutrire il sospetto che dietro il viaggio del Presidente del Consiglio vi sia una spettacolarizzazione della missione non equivale a cercare la polemica ad ogni costo.

La foto da “Il Foglio”

No, è farsi domande, farle a chi ha le risposte, fare cronaca. Tentare di raccontare la verità al di là di quanto questo o quel portavoce vorrebbe rappresentare, al di là degli obiettivi che un premier vorrebbe suggerire: di fatto che il suo viaggio sia stato decisivo per il rilascio degli ostaggi. Questo non è un falso dilemma. Questo è falso e basta.

Si è trattato di una passerella.

Una passerella, con tanto di picchetto in onore della delegazione italiana, organizzata dal generale Haftar, aspirante dittatore di Libia, il cui principale sponsor è – indovinate un po’? – l’egiziano Al Sisi, lo stesso che ancora oggi rifiuta di collaborare sul caso Regeni.

Evviva i pescatori di Mazara: sono davvero felice che siano stati liberati, ma non ditemi che Conte è uno statista e che l’Italia ha una politica estera.


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