Gennaio 20, 2022

Perché con Draghi al Quirinale il centrodestra può mettere le mani sul governo

In questa somma di debolezze che è diventata la corsa al Quirinale, nessuno può sperare nel bottino pieno. Per usare una metafora di immediata comprensione: chi tira la coperta per scaldarsi il petto scopre inevitabilmente i piedi. Occorre così fare di necessità virtù, applicarsi per ottenere il massimo, probabilmente non il meglio.

Vista dal centrodestra questa teoria equivale a rinunciare all’idea che Silvio Berlusconi diventi inquilino del Colle. E non perché da sinistra sia partita la consueta levata di scudi, bensì perché quella del presidente della Repubblica è elezione in cui l’aritmetica parlamentare conta, non può essere ignorata. E proprio da questa consapevolezza può partire il ragionamento in grado di segnare l’ennesimo clamoroso autogol del centrosinistra italiano.

Dal vertice a tre della “carta copiativa” tenuto ieri a casa Conte, è emersa infatti la sostanziale diversità di vedute dei tre leader in particolare sul futuro di Mario Draghi. Il terzetto ha così servito al campo avverso (copyright Walter Veltroni) su un piatto d’argento la mossa per mettere la mani sul governo del Paese.

A proposito del metallo di cui sopra: la pallottola d’argento, il silver bullet in grado di risolvere il rebus del Colle e i problemi del centrodestra, è proprio la candidatura di Mario Draghi. Se all’annunciato passo indietro di Berlusconi seguisse infatti l’indicazione del presidente del Consiglio come profilo più adeguato a raccogliere l’eredità di Mattarella, ecco che il primo effetto sarebbe la spaccatura del centrosinistra.

Conte ha infatti candidamente ammesso di non essere in grado di garantire i voti dei suoi parlamentari al premier. Almeno non in assenza di un pre-accordo sul prosieguo della legislatura. E qui sorge la faglia in cui il centrodestra può incunearsi.

Ce lo vedreste il Pd – ripeto, il Pd – che dice di no a Mario Draghi al Quirinale? E su che basi? Certo Enrico Letta in questi mesi ha già dimostrato di essere capace di tanto (si veda la disponibilità a cedere ai 5 Stelle il collegio della Camera alle suppletive a Roma) ma sacrificare Draghi sull’altare dell’alleanza con Conte significherebbe dimostrarsi incredibilmente pronto a tutto, pur di non rinunciare al sodalizio con l’avvocato.

A partire dalla quarta votazione, dunque, se proposto dal centrodestra Mario Draghi sarebbe eletto. Con quali conseguenze sull’esecutivo è tutto da vedere. Salvini dovrebbe infatti accettare il rischio: senza accordo preventivo sul dopo-Draghi, la crisi di governo potrebbe tradursi anche in elezioni anticipate, portando così il Capitano a giocarsi la leadership del centrodestra con Giorgia Meloni da una posizione di svantaggio, secondo i sondaggi.

Il Movimento 5 Stelle uscirebbe però squassato da tale scenario. L’ala che fa capo a Luigi Di Maio (oltre 50 parlamentari) spingerebbe infatti in ogni caso per Draghi al Colle. L’altra, in minima parte fedele a Conte, per l’altra solo a se stessa, cercherebbe fino all’ultimo di impallinare il premier per evitare scossoni al governo. Il centrosinistra finirebbe per essere così spaccato in più tronconi. La leadership di Conte liquefatta.

Certo, pure il centrodestra si troverebbe dinanzi ad uno snodo cruciale. Mandare Draghi al Quirinale al buio, provocherebbe inevitabili fibrillazioni tra Salvini e Meloni, convinti l’uno della necessità di proseguire con l’azione di governo, l’altra della necessità di andare al voto. In ogni caso nulla di neanche lontanamente paragonabile al big bang che si originerebbe a sinistra. Nella peggiore delle ipotesi, per Fratelli d’Italia si tratterebbe di attendere un anno, nella migliore di votare subito. Per Salvini, invece, nella peggiore di rimontare 3 punti in campagna elettorale a Giorgia Meloni; nella migliore di trovare un altro assetto di governo dopo aver però squarciato il Movimento e la sinistra. Per entrambi i sovranisti, insomma, con Draghi al Quirinale il bicchiere mezzo vuoto sarebbe tutto sommato semipieno. Resterebbe solo da capire quando iniziare a scolarlo, lasciando a bocca asciutta gli avversari. Berlusconi permettendo, ovviamente, inteso come disponibilità del Cavaliere a farsi da parte. E a non trovare accordi, con altre parti.

QUESTO ARTICOLO FA PARTE DI “COLLE ALLA ROVESCIA“, RUBRICA DI AVVICINAMENTO ALL’ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO. 

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