Marzo 26, 2023

Q&A, DIECI DOMANDE! Tre eventi che mi hanno sorpreso. Governo e nomine. E sul futuro di Draghi…

Un’altra folle settimana si è conclusa. Breve riepilogo per chi fosse stato su Marte. O in alternativa per chi abbia guardato solo talk show italiani: Xi Jinping è volato a Mosca, e chi immaginava che avrebbe portato la pace in Ucraina si è visto rispondere ieri sera da Putin in persona: annunciato un prossimo dispiegamento di armi nucleari tattiche in Bielorussia. In Francia il presidente Macron ha forzato la mano a livello parlamentare, approvando una necessaria riforma delle pensioni: il suo governo è sopravvissuto al voto di due mozioni di censura da parte delle opposizioni, ma le proteste di piazza sono diventate via via sempre più feroci, costringendo persino Re Carlo d’Inghilterra a rinviare la sua visita francese. Donald Trump continua a ventilare il rischio di proteste di massa negli Stati Uniti in vista di un suo possibile arresto. Sono solo alcuni flash dei sette giorni che ci siamo lasciati alle spalle. Da quando è nata questa rubrica il mondo è sembrato accelerare: stargli dietro è sempre più difficile. Vediamo se con le vostre domande va meglio, ma ne dubito!

LE “DIECI DOMANDE” DELLA SETTIMANA, SOMMARIO

  • 1) Il caso Tunisia: dove nasce la crisi e quali sono i rischi per l’Italia?
  • 2) La situazione in Libia: con un caso da monitorare attentamente
  • 3) Politica italiana: quale partito farà il prossimo exploit?
  • 4) Un evento di politica italiana e uno di politica estera che mi ha sorpreso
  • 5) Perché le parole di Mélenchon non vengono stigmatizzate come quelle di Trump?
  • 6) La Cina “mangerà” la Russia? La Svezia entrerà nella NATO?
  • 7) Scontro Trump-DeSantis
  • 8) Un’azione russa in Moldova è plausibile entro la fine dell’anno?
  • 9) Quali nomine deve fare il governo?
  • 10) Quando torna Draghi?

DOMANDA NUMERO 1

Stregatto vuole saperne di più sulla crisi della Tunisia. Fa bene, perché nelle prossime settimane ne sentiremo parlare eccome. Era il 17 dicembre 2010 quando Mohamed Bouazizi, fruttivendolo tunisino di 26 anni, si diede fuoco in segno di esasperazione per le angherie subite dalla polizia (che gli chiedeva delle tangenti per consentirgli di svolgere il suo lavoro di ambulante) e per le difficoltà economiche che era costretto a fronteggiare per mantenere la sua numerosa famiglia. La sua morte fu la scintilla per lo scoppio delle Primavere Arabe, di cui Tunisi, fino a qualche anno fa, rappresentava l’emblema virtuoso, con istituzioni realmente democratiche emerse dallo stato dittatoriale antecedente alle rivolte di massa. Ma la pandemia prima, e la guerra in Ucraina poi, hanno contribuito ad aggravare una situazione che definire “fragile” è eufemistico. Il presidente Saied ha operato ormai da molto tempo una svolta autoritaria, congelando il Parlamento e accentrando nelle sue mani grandi poteri. Il tutto senza riuscire a rispondere alle istanze del popolo tunisino, alle prese con un’inflazione da capogiro e una crisi che impedisce a molte famiglie di portare il pane sulla propria tavola. A livello ufficioso, nei corridoi delle cancellerie occidentali, si dice che la Tunisia non abbia abbastanza risorse finanziarie per scollinare i prossimi 6-9 mesi. Giorgia Meloni sta cercando di fare squadra con Emmanuel Macron per portare il Fondo Monetario Internazionale a concedere un prestito da circa 2 miliardi di euro. Ma c’è da vincere anzitutto la resistenza degli americani, che non amano – altro eufemismo – Saied e sono contrari a concedergli risorse senza “garanzie”. Posso dirvi con certezza che per Roma quello tunisino sta diventando uno dei dossier prioritari in fatto di politica estera. Il rischio che la situazione collassi, portando migliaia e migliaia di persone a lasciare il Paese direzione Europa/Italia è concreto. L’obiettivo di Palazzo Chigi è, per ovvie ragioni, cercare di arrivare ad una soluzione prima dell’estate. Anche mettendo in conto un importante esborso di soldi. Ne riparleremo sicuramente.

DOMANDA NUMERO 2

Daniel chiede di fare chiarezza sull’attuale situazione in Libia. Paradossalmente potremmo dire che la situazione di instabilità si è cristallizzata. Lo stallo politico tra il governo di unità nazionale (GNU) con sede a Tripoli, riconosciuto a livello internazionale e guidato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, e il governo di stabilità nazionale (GNS), sostenuto dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk e guidato da Fathi Bashagha, continua fra ricorrenti rivendicazioni di (il)legittimità in attesa delle elezioni. Ovvero aspettando Godot. Le truppe del comandante Haftar, quelle appartenenti al sedicente Esercito nazionale libico (LNA), sono spesso e volentieri protagoniste di scontri armati. La previsione, peraltro, è che a Tripoli e dintorni possano verificarsi nelle prossime settimane frequenti “blackout” per quanto riguarda la sicurezza. Gli Stati Uniti hanno compreso l’importanza di tornare a giocare un ruolo in Libia, soprattutto visto che ad esercitare influenza nel Paese nordafricano sono oramai chiaramente russi e turchi. Non propriamente attori fra i più affidabili. L’Italia sta faticosamente tentando di riacquisire un ruolo nell’area. Ma è impossibile, allo stato attuale, riuscire nell’impresa senza fare adeguato utilizzo dello strumento militare (e non sembrano esserci i presupposti perché la politica si senta autorizzata dall’opinione pubblica a tutelare i suoi interessi in Libia). A questo proposito cito un caso che mi sembra emblematico. Nei giorni scorsi è andato in scena un botta e risposta tra il presidente tunisino Saied e il ministro del Petrolio libico a proposito del giacimento petrolifero di Bouri, in Libia, che Tunisi pretenderebbe di sfruttare. Da chi è gestito tale giacimento? Forse qualcuno di voi ha indovinato: da Eni. Ma in Italia a nessuno sembra interessare di queste fibrillazioni. Abbiamo una brutta abitudine: quella di piangere sul latte versato. E con queste prime due domande su Tunisia e Libria credo di aver risposto anche a Cettina: il fronte africano si sta già aprendo.

DOMANDA NUMERO 3

Domanda interessante da parte di Vincenzo Franco, anche se la risposta in questo caso è davvero difficile da dare. Soprattutto per un motivo, è vero che ad oggi i poli che vanno delineandosi sono tre: uno di destra-centro guidato da Meloni, un’altro di sinistra-centro guidato da Schlein/Conte, e un altro di centro che dovrebbe emergere nei prossimi mesi capitanato da Calenda. Questa però è una descrizione “programmatica”. Quella politica cosa dice? Che con il Rosatellum sono favorite le coalizioni. Cosa sto cercando di dire? Che il Terzo Polo, se vuole ambire ad essere qualcosa di più di un’opposizione numerosa in Parlamento, deve puntare ad una modifica della legge elettorale. L’alternativa, quella di realizzare un boom numerico stile M5s o Fdi – per citare gli esempi da te portati – e diventare perno del sistema mi sembra ad oggi difficilmente praticabile. Ps: sono discorsi comunque prematu…

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